«Domenica si vota per le città e per i sindaci. La partita vera per il governo la giocheremo a ottobre con il referendum». Il presidente del consiglio prova a convincersi che il voto delle amministrative non sarà poi così importante per il futuro del suo esecutivo e della sua leadership. O meglio, un eventuale risultato negativo non potrà in alcun modo offuscare la stella di Matteo Renzi. Se invece Roberto Giachetti riuscisse ad andare al ballottaggio a Roma, ad esempio, il discorso sarebbe diverso. Il successo sarebbe da attribuire all’endorsement del premier, l’unico in grado di risollevare le sorti di un Pd schiacciato sotto le macerie di mafia Capitale. La verità, come spesso accade, sta nel mezzo.Perché se è vero che in fin dei conti il 5 giugno i cittadini saranno chiamati a scegliere solo un sindaco, è altrettanto vero che tra le città al voto ci sarà una Capitale politica (Roma), una Capitale morale (Milano) e una Capitale meridionale (Napoli). Senza contare Torino, Cagliari e Bologna. Città troppo grandi per liquidare l’esito elettorale come semplice questione locale. Ma le preoccupazioni non disturbano solo le notti del segretario Pd. Tutti i leader si giocano qualcosa in questa domenica di giugno.Matteo si affida alla “Madunina”. Il premier sceglie Napoli per l’ultimo giorno di campagna elettorale. È andato a sostenere Valeria Valente, chiacchieratissima candidata democratica, e a benedire - anche a livello locale - l’alleanza con Denis Verdini. «Avere fatto alla luce del sole un’alleanza con Ala consente di mettere paletti chiari che non si possono valicare», ha detto l’aspirante sindaco qualche giorno fa. Ma Matteo Renzi sa che Napoli è una delle poche città in cui la partita sembra già chiusa prima di cominciare. Il primo cittadino uscente, Luigi De Magistris, potrebbe addirittura vincere al primo turno. E in caso di ballottaggio, a sfidare l’ex magistrato potrebbe esserci Gianni Lettieri, il candidato di Silivio Berlusconi. Il segretario del Pd è perfettamente consapevole della situazione e anche per questo si affanna a ripetere: «Domenica si vota per le città, per i sindaci. La partita vera per il governo la giocheremo a ottobre con il referendum». Meglio mettere in chiaro le cose. Soprattutto con la minoranza interna al Pd che non aspetta altro che un inciampo del segretario per mettere in discussione una leadership che gestisce il partito con «l’arroganza dei capi» (copyright Gianni Cuperlo). Le Amministrative rischiano di trasformarsi in una resa dei conti. E se a Roma Giachetti non riuscisse ad arrivare al ballottaggio con Virginia Raggi, per il premier la situazione si complicherebbe ulteriormente. In tanti sarebbero pronti ad attribuire a Renzi la responsabilità politica dell’eventuale disfatta, perché nella Capitale c’è una grossa fetta di militanti ed elettori dem che non ha perdonato al segretario la defenestrazione coatta di Ignazio Marino con tanto di atto notarile. Per non uscire con le ossa rotte da questo confronto insidioso, al presidente del consiglio non resta che vincere l’unica battaglia aperta: quella di Milano, dove il manager Beppe Sala dovrà battere il manager Stefano Parisi. Solo se mister Expo avesse la meglio, Renzi potrebbe serenamente rimandare lo scontro finale a ottobre. Sempre che a Bologna e Torino le urne rispettino il copione con una vittoria facile del Pd, magari al primo turno, come sembra possibile nel capoluogo emiliano con l’uscente Virginio Merola.Beppe: Roma o morte. Solo il Movimento 5 stelle può distruggere il Movimento 5 stelle. E nelle ultime settimane Beppe Grillo e Davide Casaleggio hanno fatto di tutto per offuscare l’immagine di un partito integerrimo, trasparente e coerente. Prima l’avviso di garanzia al sindaco di Livorno Filippo Nogarin (a cui lo Staff ha rinnovato fiducia), poi l’avviso di garanzia al sindaco di Parma Federico Pizzarotti (a cui lo staff ha mostrato il cartellino giallo con tanto sospensione dal Movimento), infine il caso Virginia Raggi, primo sindaco commissariato da uno Staff (ancor prima di essere eletto). Sulla gestione degli amministratori locali - spesso costretti a firmare un contratto di fedeltà al partito con tanto di penale da 150 mila euro - i grillini non hanno ancora superato l’esame di maturità. Ma se l’atteggiamento altalenante del Movimento ha davvero incrinato il peso elettorale dei 5 stelle, lo scopriremo solo domenica. Del resto, per Grillo la partita è più semplice. La posta in palio è la più ghiotta ma anche l’unica: Roma. Solo nella Capitale i pentastellati sono dati vincenti contro chiunque. Virginia Raggi sembra senza rivali. Ma se per caso qualcosa andasse storto, per i grillini sarebbe un disastro. E invece di lucidare l’arma più affilata del Movimento, Beppe si è sempre mostrato freddo, quasi diffidente, con Raggi. Fino a disertare l’appuntamento di chiusura della campagna elettorale. Lo Staff è più caloroso con Massimo Bugani, candidato a Bologna con poche chance di piazzarsi secondo, ma molto amico di Davide Casaleggio. Nelle città più importanti chiamate al voto, i 5 stelle non sembra abbiano alcuna possibilità di vincere.Un cavaliere per la destra. Matteo Salvini e Giorgia Meloni si mettano l’anima in pace: il parricidio deve essere rimandato. A destra senza Silvio Berlusconi non si possono fare calcoli elettorali. Dopo aver sparigliato a Roma, confluendo su Alfio Marchini (insieme ad Angelino Alfano) in opposizione alla “coppia lepenista”, dopo aver insistito sul Gianni Lettieri a Napoli contro l’ostinazione di Fratelli d’Italia, il vecchio leader vuole ancora giocare da protagonista. E in attesa dei ballottaggi che potrebbero decretare nuovi equilibri tra alleati veri e presunti, il Cavaliere punta ancora a proporsi come l’unico “federatore” possibile. Il suo “capolavoro” l’ha disegnato a Milano, dove è riuscito a mettere attorno al moderato Stefano Parisi tutti i leader del vecchio centro destra: da Salvini ad Alfano, passando per Meloni. E come per Renzi, anche per Berlusconi la partita meneghina è decisiva. Se il suo candidato avesse la maglio su Sala, il capo di Forza Italia vivrebbe una seconda giovinezza politica. Matteo Salvini è avvisato.Fassina chi? L’aspirante sindaco. Anche la sinistra radicale si gioca un pezzo di futuro in queste Amministrative. In ballo c’è un partito da costruire (Sinistra italiana) e un orizzonte ancora da definire. Per il momento c’è un volto noto, Stefano Fassina, che si candida a guidare il Campidoglio, nella speranza di ottenere un risultato incoraggiante (almeno sopra il 5 per cento). Con una sola avvertenza: nessuna alleanza col Pd neanche al ballottaggio. Una strategia che fa infuriare Matteo Orfini, presidente democratico e commissario del partito romano: «Stefano Fassina, a forza di spostarsi a sinistra, siccome il mondo è rotondo, finirà a destra e si troverà con Salvini a sostenere Virginia Raggi al ballottaggio». Per fortuna, da oggi scatta il silenzio elettorale.