«Vivivamo in un’epoca buia, in cui la politica è dei mediocri». Sintetizza così, il sociologo Domenico De Masi, il panorama intorno alle elezioni amministrative di domenica 5 giugno. Alle urne andranno i cittadini di cinque tra le maggiori città italiane - Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna - e mai come in questa tornata elettorale la prospettiva è incerta.Impossibile anticipare l’esito, «L’unica certezza è che nulla delle campagne elettorali di questi candidati, da Roma a Milano, è all’altezza delle città che si apprestano ad amministrare».Un panorama desolante, quindi?Assolutamente. La politica è completamente screditata e i rappresentanti dei partiti che vengono a chiederci il voto sono dei mediocri. Un fenomeno, questo, che a onor del vero non riguarda solo l’Italia. Oltreoceano non va certamente meglio, a ben vedere.Che cosa è mancato al dibattito?Tutto. Basti pensare a ciò di cui hanno parlato i candidati sindaci di Roma: solo delle buche. E’ mancata completamente una visione prospettica sulla città. A chi si candida a governare la Capitale si chiede non di riempire un secchio, ma di accendere un fuoco negli elettori. Io di questo fuoco non ho visto nemmeno una scintilla.Una Roma che non risorge, dunque, dopo queste amministrative?Roma rimarrà ciò che è stata in questi mesi di commissariamento: una Caporetto collettivo. Io penso che gli elettori non meritino di andare a votare questi nomi. Eppure la protesta dei cittadini è stata modesta, perché ormai i romani non si arrabbiano più di nulla.Non vede nessuno, quindi, in grado di prendere in mano la città, dopo Mafia Capitale?A Roma l’unico in grado di governare è Papa Francesco. Quando parla, le sue parole hanno un respiro più ampio e riportano ad una visione di città e di società. Nulla che si avvicini anche solo lontanamente a questo è stata detta dai cinque candidati al Campidoglio.Anche su Milano il suo giudizio è così duro?A Milano, i tre che si presentano sono tutto sommato candidati mediocri. Anche se sembrano giganti rispetto a quelli di Roma. Però anche da quella campagna elettorale non è uscito un progetto di città degno di uno tra i motori economici d’Europa.Il dibattito politico nazionale, però, è stato catalizzato in maniera determinante dal Referendum sulla riforma costituzionale. Inciderà sull’esito di queste amministrative?Io penso che l’appiattimento nei contenuti dei candidati sia stato assolutamente programmato. Il Referendum è stato un potente distrattore, di cui il premier Matteo Renzi ha sfruttato tutta la forza. In questo modo ha allontanato l’interesse su queste amministrative, ben sapendo che per lui saranno, nel migliore dei casi, una mezza vittoria.Pensa che queste campagne elettorali così sotto tono possano in qualche modo far aumentare l’astensionismo?Io non credo. L’astensionismo alle elezioni amministrative è sempre inferiore rispetto a quello delle politiche. Il problema degli elettori non sarà quello di decidere se votare, ma chi votare.Anche il Movimento 5 Stelle si è allineato ai partiti in questo panorama così grigio che lei tratteggia?Sicuramente i grillini sono l’unico elemento di originalità in questa tornata elettorale. Questo, però, solo se messi a confronto con i rappresentanti dei vecchi partiti, che mancano completamente della forza e della visione politica di chi questi partiti li ha fondati.Nella Capitale proprio la candidata grillina Virginia Raggi è considerata la favorita dai sondaggi. Eppure Beppe Grillo non si è speso quasi per nulla nella campagna elettorale della Capitale. Come lo spiega?Non me lo spiego. Eppure è un dato di fatto che il fenomeno Beppe Grillo non sia ancora completamente compreso né assimilato dalla politica italiana. Sono state moltissime le scelte del leader Cinque stelle ad essere quasi incomprensibili per chi è abituato a leggere gli scenari politici, ma il suo movimento è arrivato comunque al 30%. Una strategia dietro questa scelta di non apparire vicino a Virginia Raggi, dunque, c’è.