Il primo a dirlo con chiarezza è stato Eugenio Scalfari: il No al referendum può essere attenuato fino a “cambiare verso” se si mette mano all’Italicum. Un amo troppo bello e troppo a portata di mano per non aggrapparvisi. E infatti Pierluigi Bersani e una buona fetta del variegato mondo che non sopporta Matteo Renzi ne hanno subito approfittato. Il perchè è abbastanza chiaro. Impostare una battaglia sul Senato e sulle alchimie che ne regolano le nuove funzioni è complicato e di difficile comprensione da parte degli elettori. In più il premier ne ha fatto una questione di vita o di morte politica: sua e del suo inner circle. Schierarsi contro vorrebbe dire non tanto affiancarsi agli accademici e costituzionalisti che ne criticano i risvolti, quanto intrupparsi in una compagnia di giro che comprende grillini, berlusconiani, leghisti-lepenisti e così via. Più che una battaglia politica un marchio d’infamia, anche lasciando da parte le stordenti polemiche sull’Anpi.Ma sulla riforma elettorale? Quella che produce «un Parlamento di nominati» o che assegna «ad una minoranza» tutto il potere alle Camere e produce l’incubo «dell’uomo solo al comando»? Anche su quella Renzi mette la fiducia nel senso che se passano modifiche abbandona il campo? Certo che no. Dunque meglio concentrarsi su quella e da lì sparare sul fortino di palazzo Chigi.In realtà più facile a dirsi che a farsi. Tanto per cominciare il capo del governo ha fiutato la trappola e ha preso le contromisure addirittura dal Giappone, dove è in corso il G7: «Non esiste alcun collegamento tra riforma costituzionale e nuova legge elettorale». Chi le vuole legare, è scorretto. Anzi, come spiega il ministro Delrio «assesta un colpo basso al Paese».In secondo luogo sulla riforma costituzionale c’è uno spartiacque inevitabile: le urne referendarie. Esiste cioè un passaggio sul quale ci si può contare; anzi è giocoforza farlo. Sull’Italicum niente di tutto questo: la legge è scritta in Gazzetta ufficiale, è stata promulgata dal capo dello Stato, entra in vigore a luglio e buonanotte. Di riaprire il capitolo, il premier non ci pensa proprio. I costituzionalisti sono senz’altro autorevolissimi ma in Parlamento non votano, e i vascelli bersaniani sono troppo esigui per impensierire la portaerei renziana.E allora? Allora a ben vedere i fendenti dei bersaniani e dei costituzionalisti per il No non sono così campati in aria. Se insistono sulle loro tesi non lo fanno per emulare Don Chisciotte: hanno un ancoraggio preciso che si chiama Corte Costituzionale. La Consulta, infatti, e proprio all’inizio di ottobre e cioè alla vigilia dell’appuntamento referendario, deve pronunciarsi sull’Italicum e stabilire se è tutto ok oppure se ci sono disposizioni che violano la Costituzione. E’ un passaggio decisivo che potrebbe riservare qualche sorpresa non così gradita al governo. Perché ad esempio, il premio di maggioranza del Porcellum cadde sotto i colpi di scure dei giudici in quanto giudicato aborme. E adesso, per fare un esempio, che quel premio viene assegnato ad una sola lista - neanche una coalizione - che magari con il 30 per cento o anche meno dei consensi, grazie alla vittoria nel ballottaggio, si porta a casa il 55 per cento dei deputati, è tutto a posto? Come pure niente da dire sul fatto che i due terzi circa degli onorevoli siano scelti con lista bloccata?Se il referendum viene bocciato, l’hanno capito tutti, si andrà su terra incognita. Ciò non toglie che se la Corte decapitasse l’Italicum, pure l’eventuale vittoria di Renzi al referendum risulterebbe fortemente ridimensionata.E’ questa la vera carta che gli oppositori interni al Pd, e non solo loro, intendono giocare. E’ evidente che Renzi non concederà nulla fintanto che non avrà portato a casa il successo referendario. E presumibilmente neanche dopo. Bersani e co. continueranno la loro battaglia ma, come sempre, dover contare per raggiungere un obiettivo non sulle proprie forze ma su fattori, chiamiamoli così, esogeni non è la migliore condizione.