È bastato poco: una settimana esatta. Nelle ore successive alla sua scomparsa Marco Pannella è stato celebrato da tutti come una tra le figure di cardine della storia politica italiana. Sette giorni dopo, la sua battaglia della vita, quella per l’amnistia, è già liquidata come «immorale, politicamente idiota e criminogena come qualsiasi condono». Parole che l’ex magistrato Bruno Tinti scomoda in verità non per il compianto leader radicale ma per il gruppo di parlamentari che in suo nome vuole cambiare il quorum per amnistia e indulto. Tinti sferra l’attacco dalle colonne del Fatto quotidiano di ieri. Tra i destinatari, con Luigi Manconi, c’è anche il senatore “fittiano” Luigi Compagna.Ecco, senatore: si è passati un po’ troppo in fretta dalle elegie alle maleparole, per dirla nel vernacolo napoletano che le è familiare.E sì, noi forse saremo stati ineleganti e fettolosi nel dedicare la proposta di legge a Marco Pannella, ma sono ancora più ineleganti e frettolose le parole di Bruno Tinti.Lei è sempre un signore.Da quel discorso si coglie una certa tenacia nel non voler tenere presenti i termini della questione: amnistia e indulto sono misure previste dalla Costituzione.Ma poi perché Manconi, lei e gli altri sareste stati ineleganti? Avete solo smascherato l’ipocrisia delle orazioni pro Pannella.Ecco, sì, ha capito. E la nostra proposta di legge mira solo a rimettere i provvedimenti di clemenza nella disponibilità del Parlamento.Perché, adesso non lo sono?E no, non lo sono da quando nel 1992 il quorum fu innalzato alla soglia dei due terzi articolo per articolo. E questo avvenne perché proprio in quel momento la casta dei magistrati cominciò a erigere le inviolabili mura del proprio quotidiano esercizio del moralismo di massa. Condizionarono le scelte del Parlamento, da allora amnistia e indulto sono di fatto preclusi.Da allora l’equilibrio tra i poteri si è alterato?Fino al 1992 c’erano sensibilità politiche, tra i socialisti, tra i democristiani... dopodiché siamo stati sommersi dall’onda del moralismo di massa, che è il senso comune gramsciano e che infatti si afferma in termini di egemonia.Se magari prima di parlare gli egèmoni verificassero i dati scoprirebbero che, diversamente da quanto sostiene Tinti, la recidiva tra i beneficiari dell’indulto 2006 è ridotta esattamente della metà rispetto agli altri detenuti.Ma infatti non c’è un linguaggio comune possibile. Il presidente dell’Anm ha detto testualmente che i politici continuano a rubare con la differenza che non si vergognano più. Quella di Tinti è una variante lessicale dello stesso concetto.In effetti Manconi viene additato come il capo di una banda di politici malfattori che si vuol precostituire il salvacondotto. Lei e gli altri cofirmatari siete i suoi «complici», testuale.Gli vorrei rispondere che siamo colpevoli per aver commesso il fatto: e non solo abbiamo proposto di abbassare il quorum ma siamo prontissimi a votare i provvedimenti di clemenza. A Davigo invece potrei rispondere: e tu, magistrato, non ti vergogni dei mille giorni di custodia cautelare del mio amico Nicola Cosentino?Lo vede, senatore? Siamo dalla parte del male assoluto.Ma in fondo che c’è di male nel desiderare che ci sia meno gente in galera? E poi l’attenzione nei confronti del detenuto è un patrimonio irrinunciabile delle sensibilità liberale, cristiana, della grande letteratura politica, di Victor Hugo.Cosa c’entra lei con Manconi?Nulla. I nostri percorsi sono completamente antitetici l’uno all’altro. Ma ci sono princìpi che possono essere declinati in una forma soltanto. E insieme diamo ragione a Pannella quando dice che in un Paese ordinato viene prima la riforma della giustizia e poi la misura di clemenza ma che in Italia la misura di clemenza è diventata impossibile.