Torna alla politica attiva, con la voglia di chi continua a sentirsi una “militante” e la nostalgia di un partito che non c’è più. Con questo spirito risponde al Dubbio Livia Turco, ex ministra della Salute nel governo Prodi e una vita passata ad occuparsi di welfare e diritti sociali. Dopo anni di lontananza dalla politica, oggi scende in campo a sostegno di Roberto Giachetti, candidato sindaco di Roma per il Partito Democratico: in caso di vittoria, Livia Turco sarà l’assessore capitolino ai Servizi sociali.Un ritorno che in pochi si aspettavano. Come nasce e come si spiega?Nasce prima di tutto dalla mia storia politica. Quello che continuo a considerare il mio partito, il Pci, mi ha insegnato che quando un compagno che stimi ti chiede aiuto bisogna rispondere, senza fare valutazioni sulla vittoria o sulla sconfitta e senza badare a dinamiche di corrente. Così è successo con Roberto Giachetti: non mi aspettavo per nulla la sua telefonata ma sono stata felice. Roberto è una persona per bene e un ottimo candidato, lo conosco da quando eravamo insieme in Parlamento e con lui ho condiviso molte battaglie, per questo il mio sì è stato deciso e immediato.Eppure non è un mistero che Massimo D’Alema, a cui è legata da una forte vicinanza politica, non sia dello stesso avviso.Io non rinnego nulla della mia storia politica e so che D’Alema non condivide la mia posizione. Questo però non ha influenzato la mia scelta: sento di avere la voglia e il modo di dare ancora qualcosa alla politica. Mi definisco da sempre una “militante del sociale” e questo sarò, anche a fianco di Giachetti. All’inizio anche io sono rimasta sorpresa di ricevere questa proposta ma Roberto, quando mi ha chiamata, ha fatto una premessa: “Lascia stare le correnti, il tuo nome è una mia scelta personale basata sul criterio della competenza”.Lei ha lasciato la politica attiva nel 2013, come sono stati questi anni di distacco?Sono stati anni difficili, non lo nego. Ho scelto di fare un passo indietro ben prima dell’arrivo di Matteo Renzi e rivendico con dignità la mia scelta. Eppure sono stati in pochi, quando ho lasciato il Parlamento, a ringraziarmi, e uno di questi è stato proprio Roberto Giachetti. Li definisco anni difficili perchè un conto è decidere di non stare più nel Palazzo, un altro è la lontananza da tutta la politica. Io speravo di poter ritornare a farla nel partito, ma così non è stato. E’ stato un periodo entusiasmante per altri aspetti, però: ho lavorato moltissimo con la Fondazione Nilde Iotti, di cui sono presidente, e ho portato in giro per l’Italia la storia delle nostre madri costituenti. Poi ho collaborato con l’ospedale San Gallicano, l’Istituto Nazionale Salute Migrazione e Povertà, che è un fiore all’occhiello della sanità pubblica. L’associazionismo è una realtà molto bella ma qualcosa mi mancava sempre, perché in fondo rimango una donna di partito.Il Partito Democratico, però, non assomiglia molto al partito di cui lei sente la nostalgia.E’ vero. Quello che mi manca è un partito che sia luogo di incontro, di confronto e di crescita. Una struttura popolare, che dia uno scopo, che insegni e che formi. Altrimenti, la politica diventa un giocattolo solo per ricchi, dove germina la disuguaglianza. Il Partito Democratico, con mio dispiacere, non è un partito popolare. Spero però che riesca a reinventarsi, trovando il modo di ritornare vicino alla gente. I Social Network vanno bene, ma servono facce e mani per fare la politica.A proposito di nostalgia, sono fresche di questi giorni le polemiche tra i partigiani e la ministra Boschi. Lei da che parte sta?Da nessuna delle due. Io penso solo che si tratti di un grosso equivoco: la Boschi intendeva dire che il direttivo dell’Anpi ha dato la linea del no al referendum, ma che ci saranno anche molti partigiani che voteranno sì. Può essere che la frase sia stata detta male, ma la questione è stata esagerata e lei è diventata bersaglio di critiche che non merita. Non sono politicamente vicina a lei, ma apprezzo nella Boschi il fatto che sia una persona studiosa e competente. Senza voler fare la sua difesa, mi limito a constatare che continua a ripetersi un certo accanimento sulle donne, con termini e lessico poco consoni.Per rimanere in tema di polemiche e nostalgia, è stato criticato l’uso dell’immagine di Ingrao e Berlinguer per il sì al referendum. Anche secondo lei il pantheon del Pci non andrebbe scomodato nella politica del 2016?Io credo che, in generale, i nomi di questi personaggi così importanti per la storia della sinistra non vadano strumentalizzati. Mi sento di fare una sola eccezione, però. Se sua figlia fosse d’accordo, io credo che la figura di Nilde Iotti potrebbe trovare spazio in questo dibattito referendario, perché tutta la sua vita politica è stata legata alle riforme costituzionali. La Iotti, infatti, si è battuta per la creazione di un Senato federale e ha tenuto il suo ultimo discorso proprio alla Bicamerale per le riforme costituzionali, presieduta da Massimo D’Alema.Tornando alle amministrative di Roma, il suo nome potrebbe riportare nell’orbita dem la sinistra storica?Non mi sento sostenere una cosa del genere. Posso però dire che, negli ultimi giorni, ho ricevuto attestati di stima da parte di tanti compagni, i compagni del Pci intendo, che non si sono più iscritti al Partito Democratico e che faticano a riconoscersi nell’attuale profilo del partito. E’ stato un piacere per me rincontrarli in questa competizione elettorale, perché per me è un ritorno. Non penso che la mia presenza possa spostare un’intera parte politica su Giachetti, che certo è un candidato legato al premier Renzi, ma l’entusiasmo che ho percepito mi fa sperare che più di qualcuno possa avvicinarsi.