Vogliamo provare a sfrondare, così: tanto per capire meglio? Proviamo. Ai cinquanta costituzionalisti, molti dei quali ex presidenti della Corte Costituzionale, che un mesetto fa avevano promosso un documento per il No al referendum, Matteo Renzi replica mettendo in fila circa 200 docenti e giuristi a favore del Sì e avverte: «Arriveremo a mille». In teoria, questa sorta di rodeo di saggi dovrebbe servire a riportare lo scontro sul merito della riforma varata dal Parlamento - fine del bicameralismo, nuovo Senato, stop della legislazione concorrente Stato-Regioni e via elencando - e soprattutto tagliare le unghie ai tanti (ultimi in ordine di tempo il presidente del Senato Pietro Grasso e l’ex premier Enrico Letta) che, con ruvida malignità, ammoniscono a evitare “i toni da corrida”. A parte le schermaglie di sapore fanciullesco sull’affastellamento delle intellighènzjie, il fine è senz’altro nobile.Ma anche senz’altro tardivo. In primo luogo esperto chiama esperto e non c’è nulla di più estensibile nel tempo e nello spazio delle labirintiche dissertazioni di costituzionalisti e affini. Con il risultato che i cittadini, a cui si vorrebbero affidare strumenti per comprendere di più e meglio i reconditi significati della riforma, finiscono per confondersi vieppiù le idee. E poi la realtà è sotto gli occhi di tutti: la partita che si sta giocando e che si concluderà nelle urne di ottobre è tutta e precipuamente politica.E’ normale che sia così. Come è conseguente che il capo del governo, dopo averlo fatto decine e decine di volte in Parlamento (in media una ogni due settimane in trenta mesi di permanenza a palazzo Chigi), abbia messo la fiducia anche sul referendum costituzionale confermativo. Per cui se perde, lascia. L’incarico e addirittura la politica, assieme al ministro Maria Elena Boschi. Da questo punto di vista la sorpresa e gli inviti a riconsiderare quella scelta che piovono da più parti sono, loro sì, sorprendenti, e le polemiche che hanno provocato sono niente di fronte a quelle che sarebbero esplose se Renzi avesse detto il contrario, se cioè avesse annunciato di voler restare ben saldo sulla sua poltrona anche in caso di sconfitta. Per cui, al dunque: Renzi non può che personalizzare la sfida perché rappresenta la polizza migliore per blindare la vittoria; i suoi detrattori non possono che appellarsi al merito perché solo così possono votare contro senza sentirsi addossare l’accusa di sfascisti e avventuristi.Diverso, e ben più inquietante, è l’interrogativo su quali scenari si aprono in caso di vittoria del No. Renziani e antirenziani evitano accuratamente di pronunciarsi, entrambi in tal modo accentuando, e colpevolmente, il carattere di ordalia o Armageddon della consultazione popolare. Invece una volta chiuse le urne i problemi sia che vinca l’uno o l’altro schieramento, restano. E l’Italia pure.Volutamente tralasciando la polemica meschina e deleteria sui partigiani, altrettanto fuorviante risulta il rimpallo di accuse su chi sta con chi a seconda di quale fronte sceglie. Esponenti governativi di primissimo piano rimproverano i sostenitori del No di ammucchiarsi in modo incomprensibile: sinistra radicale con leghisti e berlusconiani, grillini con Casapound e via discorrendo. Gli accusati a loro volta spargono vetriolo su una maggioranza che cambia la Costituzione con l’apporto di Verdini, di Ala e dei tanti voltagabbana che sono trasmigrati da un parte all’altra dello scacchiere politico. Dimenticando tutti che, al di là di ogni altra considerazione, il referendum è per sua natura, e obbligatoriamente, bidimensionale: o sì o no, e niente in mezzo. Lo sanno bene - meglio, lo soffrono - i tanti che pur schierandosi sull’uno o sull’altro versante cercano tuttavia di evidenziare sfumature e distinguo. Inutilmente, quasi sempre.La conclusione è inevitabile. Ci sono tornanti in ogni fase politica che o si superano o costringono a fare marcia indietro. Il referendum costituzionale è uno di quelli. Renzi ha preso una lunghissima rincorsa: forse poteva evitarla concentrando la comunicazione sull’azione di governo. Ha deciso altrimenti: è scelta legittima. Se anche fruttuosa, si vedrà. Ma chi lavora, nell’uno o nell’altro schieramento, a fare terra bruciata non ha, né merita, alcuna attenuante.