Dopo la Grecia, l’Austria è il primo paese europeo nel quale la sinistra radicale vince le elezioni. L’Austria è un paese dove vige l’elezione diretta del Presidente della repubblica. Col sistema del doppio turno e del ballottaggio. Per la prima volta il sistema del ballottaggio non favorisce i partiti centristi o moderati. Magari potremmo riflettere un momento su questo dato.E cioè prendere atto del fatto che il sistema elettorale che prevede l’elezione diretta del Presidente (com’è in Francia e negli Stati Uniti, e cioè nelle due più grandi e antiche democrazie repubblicane) non è un sistema necessariamente moderato e che esclude dalla rappresentanza, e dal potere, le forze radicali o alternative. Forse qualche anno fa era così. Ora non più.Lo dico perché mi pare che sarebbe ora di affrontare il problema della riforma della struttura della democrazia italiana, rimuovendo i vecchi tabù e discutendo senza pregiudizi. Il prossimo referendum costituzionale potrebbe essere l’occasione giusta.La riforma Costituzionale approvata dal Parlamento, e che elimina il Senato elettivo promuovendo un sistema parlamentare in parte (solo in parte) unicamerale, non è una riforma profonda. La struttura del potere esecutivo e rappresentativo resta sostanzialmente immutata. E la nostra resta una democrazia parlamentare nella quale - è così da sempre - il potere del Parlamento è sostanzialmente subordinato al potere del governo. Oggi i sostenitori del No alla riforma dicono che il combinato disposto tra riforma e legge elettorale  (italicum) porta a una fortissima riduzione dell’autonomia del Parlamento, il quale - sia per via del premio di maggioranza, sia per la possibilità molto ridotta di esprimere con successo le preferenze - finirà per essere controllato in modo abbastanza rigoroso dal vertice dell’esecutivo (e comunque dai vertici dei vari partiti, compresi quelli dell’opposizione). Hanno ragione. Però bisogna anche ammettere che il Parlamento italiano, in passato, funzionava più o meno nello stesso modo. Specialmente negli anni della seconda Repubblica, quando il maggioritario (sia col sistema elettorale uninominale del mattarellum sia col proporzionale “corretto” del calderolum) ha sempre premiato la coalizione di maggioranza. E anche in passato i nomi degli eletti venivano quasi tutti decisi dalle segreterie dei partiti. Hanno ragione i sostenitori del no a lamentare la debolezza del potere rappresentativo, ma hanno torto a parlare di svolta autoritaria, perché il potere rappresentativo, da almeno 20 anni, è molto debole.  (E anche nella prima Repubblica era comunque largamente dominato dal sistema, allora molto forte, dei partiti e dalla potenza dei loro gruppi dirigenti).Allora è legittimo chiedersi: porsi l’obiettivo di aumentare la governabilità (e rafforzare la cosiddetta democrazia decidente) è possibile solo sacrificando il potere rappresentativo (e dunque il ruolo del Parlamento)? O invece una riforma può anche essere concepita per rafforzare sia il potere esecutivo che quello legislativo e rappresentativo?Come: per esempio accettando l’idea che una repubblica presidenziale (o qualcosa di simile, cioè una repubblica nella quale il capo dell’esecutivo, e magari anche la sua squadra, sono eletti direttamente dal popolo) non è un abominio, non è reazione, non è ritorno al fascismo? E una riforma che dia certezze e durata all’esecutivo può anche premettersi di dare maggiore libertà al Parlamento, spingendosi perfino a un ritorno al proporzionale, senza bisogno di premi di maggioranza perché la stabilità del governo è assicurata dall’elezione diretta del premier?Non vi sembra che sarebbe bello discutere di queste cose, invece di contare quanti partigiani e quanti professori sono per il sì o per il no, e senza accusarsi reciprocamente di simpatie fasciste?