«Se il referendum non passa l’Italia rischia di finire in balia dei populismi di destra, come acacde in Europa». Il professor Massimo Cacciari non ama né Matteo Renzi né la riforma costituzionale su cui i cittadini saranno chiamati a esprimersi a ottobre. Eppure, turandosi il naso, al referendum voterà sì, scegliendo quello che secondo lui è il male minore.Professore, partiamo dall’Europa. In Austria il verde Van der Bellen ha vinto per un pugno di voti. Ma i due partiti storici, Socialdemocratici e Popolari, sono quasi spariti. Cosa è successo?In Austria la situazione è stata aggravata dall’acuirsi della crisi tra rappresentanza politica e l’opinione pubblica. Ma le difficoltà dei partiti tradizionali che hanno bene o male fatto l’unità europea vanno avanti da almeno due decenni. In Italia questa crisi è stata particolarmente vivace e prematura, anche grazie a Tangentopoli, altrove è arrivata più tardi ma con altrettanta forza. Perché lo stesso fenomeno lo si può vedere in Francia, in Spagna con Podemos e in Grecia con Tsipras. La Germania è coperta soltanto dalla leadership della Merkel finché durerà. In Italia ci sono Grillo e Renzi.Pone Matteo Renzi e Beppe Grillo sullo stesso piano. Quindi non si può dire che il Pd sia l’unico partito tradizionale europeo a reggere il confronto con le urne?Renzi non c’entra assolutamente nulla né con la storia della Democrazia cristiana, né con quella del Partito comunista, né con la tradizione socialista. A reggere non è il Partito democratico ma Matteo Renzi.Dunque cosa accadrebbe se il presidente del Consiglio perdesse la battaglia sul referendum costituzionale?Non c’è dubbio che in quel caso l’Italia rischierebbe di finire in balia dei populismi di destra. È l’unica ragione per la quale il sottoscritto, creandosi infiniti e ulteriori nemici, ha detto che voterà Sì al referendum. Non certo per simpatia nei confronti di Renzi, che non riesco neanche esteticamente a sopportare, e neanche perché ritenga buona la riforma.Ha fatto bene il premier a personalizzare il voto di ottobre?No, neanche per sogno. È stata una strategia totalmente sballata, frutto di megalomania acuta, quasi delirante. Se fosse stato tranquillo e silenzioso, il referendum poteva considerarsi già vinto senza correre alcun rischio. Invece ha messo in pericolo l’esito della consultazione.Quando parla di rischio populismo in Italia a chi si riferisce?Di certo non penso al Movimento 5 stelle, la cui una matrice fondamentale è un po’ verde e un po’ anarchica. Insomma, nulla che abbia a che vedere con le Le Pen o con gli Hofer. I 5 stelle sono il minore dei pericoli.E il pericolo maggiore?I vari Salvini e Meloni. Sono quelli i pericoli per il Paese.Crede che possano convincere la maggioranza degli italiani?Al momento assolutamente no. Ma se Renzi non si dà una regolata e se l’Europa non comincia a fare una politica efficace sul piano sociale e dell’immigrazione, il rischio diventa realissimo anche in Italia. O crediamo di essere più civili che in Austria?In questo contesto, sembra che a sinistra, fuori dal perimetro renziano, ci sia il deserto. La minoranza dem dovrebbe uscire dal Pd per essere più incisiva?La minoranza dem non ne ha indovinata una. Si sono dimostrati totalmente incapaci di contrastare Renzi in modo efficace e con una strategia di governo. Ci sono singole persone stimabilissime, come Cuperlo e altri, ma hanno palesato una totale insipienza politica. Invece di contrastare seriamente il segretario sui temi del lavoro e dello sviluppo, lo hanno fatto sulle tasse, sul federalismo, sulle autonomie locali. Hanno dato persino l’impressione di voler resistere sul bicameralismo. Avrebbero quantomeno dovuto creare una corrente unica e coesa, con una leadership che andasse in una direzione chiara. E invece sono a pezzi: Civati da una parte, Fassina da un’altra, Cuperlo da un’altra ancora. E poi ancora tra le palle Bersani? Cose dell’altro mondo.Ma c’era, o c’è, una figura in grado di unire la minoranza?No, non c’era. Ma come dissi agli amici invano, potevano costruire una sorta di direttorio, magari con Cuperlo, Civati e Barca. Avrebbero dato l’impressione di essere una cosa diversa da Renzi, dall’uomo solo al comando. E sarebbe stato apprezzato dalle persone serie. O crediamo che il Partito comunista si basasse su un uomo solo al comando? Neanche Togliatti.Una piccola vittoria, la minoranza, l’ha ottenuta: il congresso anticipato...Ma che congresso chiedono? Lo scenario è semplicissimo: se Renzi vince il referendum, come mi auguro per le ragioni che ho spiegato, la minoranza è massacrata, non c’è bisogno di alcun congresso, a meno che non vogliano andare a farsi prendere a pernacchie. Se Renzi perde, invece, si dimette e si apre uno scenario completamente diverso. Anche in questo caso il congresso sarebbe inutile.Quindi non c’è nessuna prospettiva per la minoranza?Non gli resta che contrattare sopravvivenze personali. Forse cinque, sei o sette posti Renzi li garantisce per bontà di cuore. L’alternativa è uscire dal partito.Qualcuno l’ha fatto. Fassina sta provando a far nascere Sinistra italiana, un nuovo soggetto politico insieme a Sel. E a Roma ha escluso alleanze con Giachetti. È la strategia giusta?Così non si va da nessuna parte. Io non vedo né strategie né leadership. Non riescono a tirare fuori uno straccio di programma veramente alternativo. L’unico che può andare da qualche parte è proprio Renzi, che in virtù della sua megalomania potrà o sbattere alla prima curva e far molto male a se stesso e al Paese o superare i prossimi ostacoli. Se ci riesce ci sarà lui e basta. Gli altri potranno decidere cosa fare tutti insieme o alla spicciolata, ma non hanno più gli occhi per piangere.Mi pare di capire che per Cacciari l’alternativa sia tra Renzi e il deserto. Mi sbaglio?Si spera che prima o poi nasca qualcosa, non dico di alternativo, ma di differente dal renzismo. Che non vuol dire nostalgie di sinistra, vuol dire aprire un discorso meno semplicistico, meno demagogico e meno arruffato. Servono persone con competenze. Si può sempre pensare che nasca qualcosa che assomigli a un partito. Ma chissà come e quando.