Nei ragionamenti di Claudio Petruccioli - politico di lungo corso; braccio destro di Achille Occhetto; ex presidente della Rai - è palpabile la tensione emotiva. «Sa, ho compiuto 75 anni... », sussurra. Civetteria? Macché. Casomai consapevolezza: è questa la parola chiave: anche per Matteo Renzi. Ci arriviamo. «A ottobre - dice lentamente, quasi sillabando - si voterà sul referendum costituzionale dopo due anni e mezzo di governo Renzi. Trenta mesi nei quali pregi e difetti del premier sono emersi con chiarezza. Si tratta di un passaggio cruciale. In primo luogo per il merito della consultazione popolare. Si può pensarla come si vuole ma l’urgenza e la necessità di cambiamento, di una correzione dell’assetto costituzionale coglie una esigenza avvertita da tempo e da tanti. Una maggiore rapidità dei processi decisionali ed una più definita responsabilità del governo sono cose che servono come il pane all’Italia. In particolare, merita attenzione un punto finora poco considerato, e cioè che la revisione istituzionale è una necessità che riguarda anche il nostro rapporto con l’Europa. Mi vengono i brividi se penso quali potrebbero essere le conseguenze di una vittoria del No nel rapporto tra noi e la Ue. Significherebbe che gli italiani dicono agli altri cittadini europei: grazie, ma noi le riforme non le vogliamo fare. Immagino anche la risposta dei nostri partner: allora gli italiani non hanno capito niente, vogliono continuare come sempre».Ok l’Europa. Ma vogliamo parlare dell’Italia? Che succede se vince il fronte anti-Renzi?Beh, ci ritroveremmo con due leggi elettorali diverse per i due rami del Parlamento che continuerebbero a dover assicurare entrambi la fiducia ai governi; l’ingovernabilità sarebbe assicurata. Assisteremmo ad un fortissimo pressing volto a cancellare l’Italicum per tornare al proporzionale. Per il quale tanti si spenderebbero visto che è un sistema in cui non vince nessuno ma neanche perde nessuno. A quel punto le maggioranze ed i governi si farebbero su base negoziale, tra partiti di consistenza simile e con identiche pretese di contare. Non chiamiamolo “inciucio” come ha fatto Renzi, ma si tornerebbe alle peggiori pratiche della prima Repubblica, con effetti peggiori perché ci sarebbero partiti meno forti e più divisi di allora. Provi ad immaginare come sarebbe possibile, in un simile quadro, impostare una politica economica capace di aggredire il nostro enorme debito pubblico. Per questo insisto sull’Europa: in che condizioni ci presenteremmo di fronte ai nostri partner?.Col cappello in mano come accadde con Monti. È lì che il suo scenario va a parare, a quel tipo di soluzione?Vede, a me piacciono le metafore scacchistiche anche se da quando ho saputo che pure Casaleggio junior gioca a scacchi, sto più sulle mie. Il referendum costituzionale assomiglia alla conquista del centro che, come insegnano tutti i manuali, è fondamentale per vincere la partita. Se invece si preferisce una metafora militare, il referendum è come il tentativo di sfondare al centro lo schieramento avversario. Insomma, un passaggio cruciale. E questa è la premessa. Il cuore del problema è il modo in cui fin qui Renzi ha parlato del dopo referendum. Un modo a mio avviso limitato e debole.Perché mai? Ha detto che in caso di sconfitta si dimetterebbe ventiquattr’ore dopo. Seguito dalla Boschi. Non dovrebbero?Renzi ha detto anche che si ritirerebbe dalla vita politica.Vero. E dunque? Non sarebbe forse una mossa conseguente?Non sono nella sua testa. Però, ecco, come posso dire... Sentendo quelle parole la mia mente è riandata all’Occhetto del ‘94, ad un colloquio che avemmo una decina di giorni prima del voto e nel corso del quale provai ad affrontare la questione di una possibile sconfitta e delle eventuali conseguenze.Occhetto parlava di gioiosa macchina da guerra: non le prestò attenzione...Diciamo che la prese male e in modo, come dire, piuttosto ruvido mi spiegò che la possibilità di una sconfitta non la considerava proprio. Bene: fu un errore allora; sarebbe un errore anche adesso. Avere sempre in testa che la partita fino a che non si conclude è sempre aperta e la sconfitta è una delle possibilità, è condizione essenziale per riuscire a vincere. Prepararsi ad una battaglia nella quale si punta solo su un risultato, dimostra che sei preda di una debolezza politica micidiale. Che in caso di sconfitta Renzi salga al Quirinale per dimettersi, è inevitabile. Il medesimo scenario lo evocò anche Bettino Craxi per il referendum sulla scala mobile. A questo proposito mi domando sorridendo quale sarebbe stata la reazione dei numerosi nemici del premier se lui avesse detto il contrario e cioè: comunque vada io resto a palazzo Chigi. Ma affermare "se perdo me ne vado, mi ritiro a vita privata", è tutt’altra cosa. Anche perché non bisogna dimenticare che oltre ad essere presidente del Consiglio, è anche segretario del Pd.Anche Bersani dice che Renzi deve rimanere. Condivide?Penso non sia casuale che Bersani dica che Renzi non deve dimettersi in caso di vittoria del NO, mentre Cuperlo propone il referendum come “vero congresso” del Pd. L’intento è lo stesso: ambedue vogliono usare una eventuale bocciatura del nucleo della strategia riformista renziana per ottenere la sua liquidazione definitiva. E’ la migliore dimostrazione che il problema non è “ritirarsi” o no; ma avere una politica che fronteggi efficacemente la situazione che verrebbe a crearsi.Renzi nell’ultima Direzione ha annunciato che subito dopo il referendum si farà il congresso anticipato.Appunto. In quel congresso, come si presenterebbe? Proponendo di succedere a sé stesso? Oppure darebbe indicazione ai suoi di sostenere un altro candidato? E ancora. Una volta vinto il No e dimessosi dell’incarico di premier, quale linea politica indicherebbe al partito? Di non appoggiare alcun altro incaricato o maggioranza, e perciò andare alle urne? Con due leggi elettorali? Oppure aprirebbe alla possibilità di un’intesa? E con chi? Come vede, stiamo parlando di scelte politiche molto forti e molto impegnative. Se si ritira a vita privata, chi se ne assume la responsabilità?.Però, scusi: è fin troppo ovvio che il premier quelle cose le dice mica perché le auspica. Crede all’opposto di vincere.Me ne rendo conto. Quello che io sostengo è che bisogna essere preparati a tutte le eventualità, e bisogna dimostrare consapevolezza di come ci si intende comportare in qualunque evenienza. La vera debolezza di Renzi è che finora questo referendum viene anche da lui considerato come il “giudizio di dio” dopo il quale tutto è risolto o tutto deriva automaticamente. Neanche per sogno. Non è vero se vince il No, ma non è vero neppure se prevale il Sí. Un esempio? La riforma elettorale.Ecco, parliamo di questo. Che fine fa l’Italicum sia che prevalgano i Sì o che vincano i No?Le pressioni che subirà Renzi saranno in ogni caso fortissime. La mia speranza è che l’Italicum non si tocchi, ma è chiaro che ci saranno spinte affinché il premio di maggioranza passi dalla lista alla coalizione. Prendiamo la destra. È evidente che sia interessata al premio alla coalizione perché permetterebbe una organizzazione più elastica. Su un altro fronte, il professor D’Alimonte fa giustamente notare che ad essere interessati in maniera vitale al mantenimento dell’Italicum siano i Cinquestelle perché solo così, a patto che davvero lo vogliano, possono immaginare di andare al governo.Sta dicendo che Renzi fa bene a personalizzare il passaggio referendario? E perché allora fa marcia indietro?Questa storia della personalizzazione è un falso problema. È il frutto non solo dalla mancata risposta ma addirittura dalla mancata enunciazione delle domande cui ho accennato. Il referendum è importantissimo. Però non è che dopo la Storia finisce. Dire me ne vado, mi ritiro è un palese segno di debolezza politica da parte di Renzi. Spero se ne renda conto e corregga. A meno che non abbia in testa altro. E cioè il De Gaulle del ‘46-’47. Che tentò di fare la riforma costituzionale, fu sconfitto e riparò in campagna a Colombey-les-deux-eglises. Per essere poi richiamato dieci anni dopo. Non mi sogno di paragonare Renzi a De Gaulle: certamente posso dire che i tempi non sono più quelli, la velocizzazione della politica è enorme, lo schema di allora mi sembra impraticabile. Perciò quell’annuncio di ritiro a vita privata non ha senso.Scusi, ma cosa dovrebbe fare per far capire che è consapevole di un "dopo" referendum? Non dire che lascia la politica? Ormai è inchiodato a quella promessa... Ci sono ancora cinque mesi di campagna elettorale. Se fossi in lui troverei una occasione nella quale - confermando le sue intenzioni: vi pare che se perdo resto a palazzo Chigi o rimango segretario del Pd? - possa tuttavia precisare che indipendentemente dal risultato delle urne i problemi dell’Italia o del partito non spariscono e vanno affrontati. Che perciò bisognerà in ogni caso prendere posizione su se e come proseguire la legislatura, su come gestire il congresso, e così via. Così non smentirebbe quel che ha detto e taglierebbe l’erba sotto i piedi a chi lo accusa di volere il plebiscito. Perché il plebiscito è una cosa a risposta unica; il referendum costituzionale no.Ma il referendum non sarà anche lo scontro tra due Italie, quella dell’antipolitica che fa fronte comune dalla Lega ai Cinquestelle, opposta a Renzi che difende la cittadella delle istituzioni?La mia esperienza mi dice che nei momenti cruciali gli italiani hanno sempre dimostrato una grande saggezza. A cominciare dal referendum repubblica-monarchia; passando per il 18 aprile 1948; ai referendum su divorzio e aborto; a quello del ‘93 e così via. Perfino la forza con la quale si è espresso il Vaffa grillino lo riconduco a questa condizione. Perché era presente nel profondo del Paese e ce n’erano le ragioni. Credo che valga anche il referendum di ottobre. Per questo giudico madornale l’errore che sta commettendo Berlusconi di appoggiare il No. I suoi non lo seguiranno, vedrete. Quello italiano non è un popolo di avventuristi.Chiudiamo con la giustizia. Ha ragione Davigo quando dice che oggi i politici rubano anche più di prima ma si vergognano di meno?Sono fuori dalla politica da tanto tempo. Però una cosa mi sento di dirla. Durante Mani Pulite sono stato tra quelli che nei confronti delle iniziative della magistratura verso il Pci hanno risposto con il massimo di attenzione e di rispetto. Senza mai alcun cedimento al fastidio o alla teoria dei complotti. Ebbene oggi ho perso fiducia nei confronti della magistratura. Per tutto o quasi, non solo per la politica. Quando leggo interviste come quella di Scarpinato o anche le cose che ha detto Davigo, vedo profilarsi un forte pericolo di repubblica giudiziaria. Sono posizioni che, da un punto di vista culturale, sono uguali a quelle degli ayatollah iraniani. Si autocollocano in una sede etico-giudiziaria sovraordinata rispetto a tutti gli altri poteri, e alla quale quei poteri devono obbedire. Una simile concezione è potuta affermarsi grazie all’indebolimento della politica. Inoltre, mi sembra che questa posizione espressa e teorizzata da una parte della magistratura, sia condivisa nelle fasce più alte dell’establishment, in particolare negli apparati pubblici. Le diverse magistrature compresa quella amministrativa - dalla Corte dei conti al Consiglio di Stato ai Tar - pensano di essere quelle che devono valutare e giudicare perfino la legittimità democratica degli atti che compiono i governi. Inverosimile. E pericoloso.