M<+tondo_giust>arco Pantani è morto due volte: la prima a Madonna di Campiglio, alle 10,10 del 5 giugno 1999. Ora, giorno e anno in cui vennero resi pubblici e dati in pasto alla stampa i risultati delle sue analisi del sangue: ematocrito al 52% c’era scritto su quel test, troppi globuli rossi, sospetto doping ed espulsione immediata dalla corsa rosa che il pirata stava dominando. Fu l’inizio della fine e della discesa disperata e spericolata che di lì a poco portò Pantani alla seconda morte. Quella vera, fisica, definitiva, che avvenne in un desolato residence di Rimini il 14 febbraio del 2004.«Marco - gli chiese un giorno Gianni Mura, cantore del ciclismo moderno - ma perché vai così forte in salita? ». E Lui: «Per accorciare l’agonia». Era fatto così, il Pirata. Pedalava rabbioso per divorare il tormento delle salite e attutire l’angoscia che gli rodeva l’anima.La prima volta che apparve al ciclismo, perché la sua fu un’apparizione quasi messianica in uno sport che da tempo non aveva più eroi, fu il 4 giugno del ‘94. Quel giorno la “carovana rosa” arrivava a Merano e a un chilometro dalla vetta il pirata scattò. Fu la prova generale dell’ impresa che realizzò il giorno dopo sullo Stelvio e sul Mortirolo, una delle salite più dure del mondo. Tutti aspettavano lo scatto di Chiappucci o di Indurain e invece fu proprio lui, il pirata, che se ne andò via come il vento. Subito dopo il suo scatto Evgenij Berzin ebbe la pessima idea di andargli appresso. Di lì a poco il russo crollò, giusto il tempo di un paio di tornanti.Pantani andava su come un pazzo: riprese il gruppetto di Chiappucci e sfilò davanti a loro senza neanche il tempo di un Ave Maria. In una manciata di minuti fece il vuoto e arrivò in cima al Mortirolo con un minuto di vantaggio su Miguel Indurain. Mancavano ancora 50 chilometri. Pantani riprese fiato e Indurain lo raggiunse in discesa. Ma appena la strada iniziò a impennarsi Pantani si rialzò sui pedali e scattò di nuovo. Imperterrito, rabbioso. Lo spagnolo, vincitore di 5 Tour e 3 Giri d’Italia, stavolta neanche provò ad andargli appresso. All’arrivo a Santa Cristina Pantani aveva due minuti di vantaggio.L’anno dopo il pirata apparve in Francia, al Tour, la regina delle corse. Accadde nella tappa di Val Thorens. Il pirata cadde all’inizio della prima salita. Si rialzò zoppicante e insanguinato ma in qualche modo riuscì a rimettersi in sella e davanti a sé aveva la seconda salita: 39 km da percorrere sotto la pioggia. Pantani non ci pensò due volte e scattò. Era un’immagine epica: quel ragazzo esile e sconosciuto coi pantaloncini strappati e il sangue che correva lungo la gamba fino alle caviglie. Era un san Sebastiano: straziato e tormentato, ma andava su come una furia. Sembrava un Cristo laico e quella salita era il suo Golgota, un calvario: inferno e paradiso sembravano sfiorarsi. Pantani vinse e il suo nome iniziò a circolare tra le vie di Francia. Dopo quel Tour arrivarono altre cadute, tante, troppe. E le fratture. Ma a ogni caduta il pirata trovava la forza per risorgere, per risalire in sella e riprendere esattamente dove aveva lasciato.E finalmente arrivò il trionfo al Giro e al Tour del ‘98. I francesi lo adottarono, C’est un géant, titolò l’Equipe dopo le imprese in montagna. E in quell’anno lì, l’anno del grande scandalo doping e delle irruzioni della gendarmeria negli alberghi degli atleti a caccia di siringhe e intrugli vari, Pantani salvò il ciclismo. Fu lui, con le sue imprese, che lo rese di nuovo epico. Ne divenne il Salvatore. Ma come ogni Messia era destinato ad essere sacrificato da chi aveva salvato.E il mondo iniziò a rinnegarlo quel maledetto 5 giugno del ‘99 a Madonna di Campiglio. Pantani fu pizzicato con i valori di ematocrito troppo alti, un indizio di assunzione di doping. Venne squalificato per 15 giorni ma la stampa lo crocifisse senza pietà e quelle due settimane divennero un’eternità, una lenta agonia che si concluse il 14 febbraio del 2004 nella stanza D5 del residence “Le rose” di Rimini. Lo trovarono a terra senza vita: overdose da cocaina, si disse. Il mondo del ciclismo pianse lacrime di coccodrillo e il mito divenne immortale.