L’on Mario Marazziti propone di ricordare Pannella concedendogli quello che chiede da anni: l’amnistia. E’ una idea fantastica, sulla quale tutti dovrebbero pronunciarsi. Chi è contrario dica il perché, spieghi la propria idea di Stato, di tolleranza, di diritto, di solidarietà.Chi invece è favorevole - favorevole alla grandiosa carica riformatrice e umana che sta dentro questa idea - esca dal fortino della paura - di andare in controtendenza, di sfidare l’opinione pubblica, di affrontare il vento travolgente dei populismi - e esponga apertamente il suo pensiero, si impegni nella battaglia.Marco Pannella in questi anni si è ritrovato a combattere quasi da solo per l’amnistia. Dalla sua parte i militanti del partito radicale, qualche rarissimo garantista sciolto e - ora - la magnifica (ma isolatissima) autorità del papa.Non si può chiedere, è ovvio, ai grandi centri organizzati del pensiero unico di abbandonare le proprie sicurezze e di ascoltare Pannella. Magari gli si potrebbe chiedere, però, un pochino pochino di onestà intellettuale. Di rispetto per questo gigante della politica che ha passato la vita a combattere in solitudine.Invece, se leggete i giornali di ieri, di onestà intellettuale ne trovate poca. Tutti lodano Pannella, ma la maggior parte finge che Marco sia stato un’altra persona. Quasi nessuno gli riconosce la carica di sovversione che è stata sempre la sua identità.Colpisce l’articolo di Eugenio Scalfari, sulla prima pagina di Repubblica, intitolato: «Io e Marco, i primi radicali». Perché colpisce? Solo per la lieve maleducazione (poco borghese, poco sofisticata) di un titolo che tende a commemorare una persona morta parlando di se stessi e ponendosi come alter ego, o addirittura come maestro? Sì, c’è anche questo, e dà un po’ di fastidio, anche se Scalfari non è un personaggio piccolo, è un colosso del giornalismo italiano e nessuno mai potrà negarlo.Però quel titolo (e l’articolo che ne scaturisce) da fastidio per un altra ragione: Scalfari e Pannella non solo non si assomigliano molto, ma sono due figure diametralmente opposte. Che riassumono bene, proprio perché mai si toccano, mezzo secolo di esistenza dell’intellettualità italiana. Pannella ha costruito la sua grandezza e la sua pratica politica su un unico principio: il rifiuto del potere, la critica al potere, la lotta contro il potere. Scalfari sull’esatto contrario. E’ il giornalista che ha sempre voluto essere un elemento “pesante” nel Palazzo. E’ entrato a Montecitorio con l’appoggio di De Martino, ed è stato un sostenitore accanito di De Martino. Poi ha promosso la leadership di De Mita e ha schierato il suo giornale in modo compatto a favore di De Mita. Si è convinto di poter determinare le mosse di De Mita, e ogni tanto ha sospettato di essere lui stesso de Mita... Poi ha preso le parti di Occhetto, e ha riprodotto, su Occhetto, il suo demitismo, immaginando di essere lui stesso l’autore della svolta del Pci. Poi Ciampi. Poi è stato un prodista acceso, e ha sostenuto qualunque riforma Prodi facesse. Poi è stato per Veltroni, e ha perso di nuovo. Ora sembra abbastanza renziano. La storia del giornalismo scalfariano è la storia della contiguità tra giornalismo e potere. La storia di Pannella è la storia della rottura tra politica e potere.Non c’è niente di male a concepire la politica come l’arte del potere. Né nel pensare il giornalismo come subalterno alla politica. E’ legittimo. E’ anche un’idea abbastanza diffusa. M perché, nel giorno della morte, uno si deve appropriare di Pannella, che è così lontano da questa idea?