La Quinta sezione penale del Tribunale di Palermo, presieduta da Salvatore Di Vitale, nel confermare la sentenza di assoluzione per gli alti ufficiali del Ros Mario Mori e Mauro Obinu, ha disposto l'invio degli atti alla procura per cinque carabinieri del Raggruppamento operativo speciale tra cui Sergio De Caprio - il "capitano Ultimo" - per falsa testimonianza."Colonnello, sentenza di primo grado confermata. Ci sentiamo dopo". Così Basilio Milio, al telefono con il Colonnello Giuseppe De Donno, comunica la sentenza emessa dalla corte di appello che ha confermato, assolvendo, Mario Mori e Mauro Obinu dall'accusa di favoreggiamento per la mancata cattura di Provenzano, nell'ottobre 1995. Alla lettura della sentenza non erano presenti gli imputati. In aula c'era invece anche Vincenzo Agostino, il padre dell'agente di polizia ucciso nel 1989. "È un altro importante tassello - dice ai cronisti - verso la fine di quello che possiamo definire una persecuzione giudiziaria. Alla luce della serietà dei giudici eravamo fiduciosi". Riguardo alla persecuzione Milio precisa: "Mi riferisco a quella parte della Procura che già dal 1997 ha indagato su alcuni fatti, come il covo di Riina. Poi la trattativa". Confermato dunque il verdetto di primo grado del 17 luglio 2013: il generale Mori e il colonnello Obinu sono stati assolti "perchè il fatto non costituisce reato". I giudici hanno anche disposto l'invio degli atti alla procura per sei carabinieri del Raggruppamento operativo speciale tra cui Sergio De Caprio per falsa testimonianza: oltre al capitano 'Ultimo', Mauro Olivieri, Francesco Randazzo, Pinuccio Calvi e Giuseppe Mangano, Roberto Longu. Il riferimento è all'episodio dell'aprile del 1993, relativo alla mancata cattura del boss catanese Nitto Santapaola, resa impossibile, secondo l'accusa, da una sparatoria provocata dagli uomini del Ros a Terme Vigliatore (Messina); su questa vicenda, a parere dei giudici, questi carabinieri del Ros non avrebbero detto quello che sapevano. Dopo la lettura del dispositivo, Scarpinato e Patronaggio hanno lasciato subito l'aula. LA VICENDA PROCESSUALEUn percorso processuale complesso iniziato il 18 giugno 2008: il gip 'impose' un procedimento che all'inizio la procura non voleva celebrare e che poi è diventato quasi fatalmente la premessa di quello in corso sulla trattativa Stato-mafia, nel quale Mori è imputato. L'assoluzione di primo grado ne fece vacillare una delle architravi. E in questo processo d'appello che oggi si è chiuso, il Pg aveva infine escluso le aggravanti della trattativa e della mafia. Mori, ex capo del Ros ed ex direttore del Servizio segreto civile, e Obinu erano accusati del mancato blitz di Mezzojuso: per la Dda si sarebbe potuto catturare Bernardo Provenzano già il 31 ottobre 1995, piazzando un micidiale uno-due a Cosa nostra dopo l'arresto un paio d'anni prima di Riina. Mori era già stato processato - e assolto nel 2006 - sul caso del covo di Riina, non perquisito per diciotto giorni dopo la cattura il 15 gennaio 1993. "Non può che ritenersi priva di ogni riscontro e perfino contraddetta da inoppugnabili dati di fatto l'affermazione di Massimo Ciancimino, secondo cui, grazie all'accordo concluso con esponenti delle istituzioni, il boss Bernardo Provenzano era al sicuro da ogni ricerca e si muoveva liberamente", scrivevano nella corposa motivazione della sentenza di primo grado i giudici. Il collegio criticava Mori e l'altro imputato per le "scelte operative discutibili adottate nel tempo, astrattamente idonee a compromettere il buon esito di una operazione che avrebbe potuto procurare la cattura di Provenzano", ma non ci fu alcun accordo tra Stato e mafia, dietro la prosecuzione della latitanza di "Binu": anche se "non mancano aspetti che sono rimasti opachi", "la compiuta disamina delle risultanze processuali non ha consentito di ritenere adeguatamente provato che le scelte operative in questione, giuste o errate, siano state dettate dalla deliberata volontà degli imputati di salvaguardare la latitanza di Provenzano". "Intendiamo dimostrare che Mori, anche dopo la sua formale fuoriuscita dai servizi segreti, ha sempre mantenuto il modus operandi tipico di un appartenente a strutture segrete perseguendo finalità occulte, non dettate giuridicamente dallo Stato, in quanto non supportate da procedure legalitarie di accertamenti istituzionali": così parlava il procuratore generale Roberto Scarpinato.Secondo Scarpinato, Mori ha "sistematicamente disatteso il dovere istituzionale di attenersi a determinate norme e i doveri di lealtà istituzionale nei confronti della magistratura, traendo in inganno i magistrati anche mediante omessa comunicazione di avvenimenti". Comportamenti "opachi tra gli apparati investigativi del Ros e il generale Mario Mori, intrecciati con gli eventi eversivi che caratterizzarono il periodo delle stragi". EVERSIONE, TRADIMENTI E SILENZIGià all'indomani degli attentati del '93 autorevolissime fonti investigative "avevano evidenziato che tali fatti erano finalizzati per costringere lo Stato a trattare con Cosa nostra". Un quadro drammatico per la vita della Repubblica rispetto al quale, è la tesi della procura generale, Mori non fece nulla nell'ambito di una "convergenza di interessi occulti". In questi documenti che l'accusa vuole inserire nel processo, infatti, "si fa spesso riferimento - spiega Scarpinato - alla convergenza di interessi criminali nella creazione di una strategia della tensione e a inquietanti strategie criminali tra Cosa nostra, massoneria, servizi segreti deviati ed esponenti di frange eversive". Mori, "ha sempre mantenuto durante il servizio prestato, il modus operandi tipico di un appartenente a strutture segrete perseguendo finalità occulte, non supportate da procedure legalitarie di accertamenti istituzionali", secondo Scarpinato, pur essendo venuto a conoscenza "da fonti qualificate di taluni aspetti di tale complessa strategia della tensione, non solo non ha svolto alcuna attività investigativa ma neppure si è attivato per allertare le istituzioni". "Le interlocuzioni tra Vito Ciancimino e gli ufficiali del Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno erano pericolose, sono sfuggite al controllo della magistratura", affermava il sostituto procuratore generale Luigi Patronaggio il 21 ottobre 2015 iniziando la requisitoria. Secondo l'accusa, i carabinieri nel 1992 avviarono contatti e incontri "in gran segreto" con Vito Ciancimino per tentare di mettere un freno alla strategia stragista di Cosa nostra. "Vito Ciancimino disse sì - ha ricostruito Patronaggio - ma ci volevano coperture istituzionali". Di questa strategia, però, i carabinieri e Mario Mori non informarono l'autorità giudiziaria. Mario Mori "ha gravemente mancato ai propri doveri istituzionali di ufficiale di Polizia giudiziaria", ha sostenuto Patronaggio, "non è importante il motivo per cui lo hanno fatto: è certo però che sono colpevoli". Ha elencato i possibili moventi che avrebbero spinto Mori e Obinu a tradire lo Stato. Una delle ragioni starebbe nella cosiddetta "trattativa Stato-mafia", ma "vi potrebbe essere anche l'appartenenza di Mori a servizi segreti deviati e la sua vicinanza a partiti politici di centrodestra. Quel che è certo è che il reato è stato commesso". Al termine della sua requisitoria, il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato ha chiesto di 4 anni e 6 mesi per il generale dei carabinieri del Ros Mario Mori, e 3 anni e 6 mesi per il coimputato, il colonnello Mauro Obinu. Molto meno dunque della proposta avanzata in primo grado di 9 anni per l'ex capo dei Servizi segreti, con l'esclusione delle aggravanti di avere agito per commettere i reati connessi alla cosiddetta trattativa Stato-mafia e di avere agito per agevolare Cosa nostra. Rimane invece l'aggravante di avere commesso il reato nella qualità di pubblico ufficiale. Secondo i Pm di primo grado, Antonio Ingroia e Nino Di Matteo, Provenzano sarebbe stato lasciato libero in virtù di un patto risalente a due anni prima, quando lo stesso boss avrebbe agevolato la cattura di Totò Riina, nell'ambito del complesso meccanismo della trattativa, diretto a far sì che la mafia rinunciasse all'attacco violento con le bombe a uomini dello Stato, già colpiti con le stragi di Capaci e via d'Amelio. La Procura generale sostiene, invece, che non è chiaro nè conta il motivo per cui Mori e Obinu sarebbero stati "scandalosamente inerti", tracciando una linea retta fra tre episodi apparentemente slegati fra di loro, ma che vedono come unico elemento comune la presenza del Ros: la mancata perquisizione del covo di Totò Riina; due e mesi mezzo dopo, ad aprile del 1993, la mancata cattura del boss catanese Nitto Santapaola, resa impossibile da una sparatoria provocata dagli uomini del Ros a Terme Vigliatore (Messina); e infine il mancato blitz contro Bernardo Provenzano, a Mezzojuso. Tutto potrebbe essere messo in relazione, sostiene Scarpinato, alla "costante deviazione dai doveri istituzionali e dalle procedure di legge e del codice", posta in essere, nel corso della sua lunga carriera, da Mario Mori. Secondo il Pg, ben prima di prendere il comando del Sisde, di cui fu direttore nello scorso decennio, sarebbe stato legato ai Servizi e avrebbe "sempre assecondato interessi extraistituzionali, deviando dalle regole", una "costante deviazione dai doveri istituzionali e dalle procedure di legge". LA DIFESA "Cosa hanno detto in più, rispetto al giudizio di primo grado, i testimoni chiave dell'accusa Massimo Ciancimino e il colonello Michele Riccio? Quale prova o elemento aggiuntivo? Nessuno. Anzi, solo Riccio resta in piedi dopo la scelta di 'buttare a mare' il testimone Massimo Ciancimino": iniziava così l'arringa di Basilio Milio. E Riccio "ha continuato a sostenere le tesi del primo grado in modo confuso, senza aggiungere niente". La testimonianza decisiva, a favore della difesa, secondo i legali, sarebbe quella dell'attuale procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone: "Fu lui a smentire la versione resa dal colonnello Michele Riccio e a togliere valore all'accusa - mossa ai vertici del Ros - di non aver voluto catturare Bernardo Provenzano, nel 1995", ha detto Enzo Musco. Pignatone, che fu prima sostituto e poi procuratore aggiunto a Palermo, ha detto che mai nè Riccio nè i vertici del Ros dei carabinieri avevano informato i magistrati della concreta possibilità di catturare il superlatitante. "Se fosse stato così - aveva detto l'attuale capo della Procura di Roma - se cioè ci avessero detto di avere la ragionevole certezza della presenza di Provenzano in quel contesto, di certo avremmo provveduto a coordinare le operazioni. Invece ci furono fatti discorsi vaghi e generici sulla speranza di prendere il latitante". "Le valutazioni della Procura generale di Palermo si basano su preconcetti nei confronti miei e dei servizi che ho diretto, che, se non sono deviati, non sono servizi", ha detto Mario Mori, nel corso delle dichiarazioni spontanee davanti ai giudici della quinta sezione della Corte d'Appello, prima della camera di consiglio. "Mi sono state attribuite tendenze politiche di destra, ma io ho lavorato con Napolitano, Ciampi, Berlusconi, Prodi, Martino, Previti e prima ancora con Andreotti, Craxi, Forlani, Pecchioli... Sarei stato veramente una banderuola...". "Ci vengono addebitate verità preconfezionate e ho ascoltato giudizi sprezzanti verso me e i miei uomini come se si trattasse di una filiera di individui da me plagiati: ma noi facciamo parte di una sparuta minoranza legata a valori ormai obsoleti e siamo lieti di farne parte. Non sono il lucido criminale, secondo quanto ritiene il Pg Scarpinato che ha voluto solo riproporre le tesi degli anni 90 sui 'Sistemi criminalì, teorie indimostrabili e come tali improponibili, già archiviate su richiesta della stessa procura".