Continua lo scontro tra Pd e Movimento 5 stelle. L’ultima scaramuccia si è consumata ieri mattina a Roma. Occasione: la presentazione dei candidati sindaci pentastellati presso la Camera di commercio capitolina. Mentre Luigi Di Maio conduce la kermesse con Virginia Raggi e gli altri aspiranti amministratori, i Giovani democratici organizzano un sit-in all’esterno. «Da indignati a indagati», c’è scritto sui cartelli esposti dai ragazzi. O ancora: «Raggi sindaco: Milano ordina, Roma obbedisce». È un botta e risposta costante, quello tra i due maggiori partiti del Paese, dove ogni contendente vuole avere l’ultima parola. «Sono giorni che i 5 stelle ci attaccano», spiega Enrico Pagano, presidente romano dei giovani Pd e organizzatore della contestazione. «Siamo andati lì fuori per difendere la democrazia vera, non quella venduta tramite un Blog senza strumenti di controllo e dove tutto è gestito da un’azienda esterna». Gli esponenti dem, ovviamente, concentrano tutta la loro attenzione sul nervo più scoperto dei loro avversari politici: i processi decisionali. Era prevedibile, del resto, che la sospensione del sindaco di Parma, Federidco Pizzarotti, sarebbe diventata argomento da campagna elettorale. E i Giovani democratici non si sottraggono, anzi, ci tengono amarcare le differenze: «Noi scegliamo la nostra classe politica tramite le primarie e prendiamo decisioni dopo aver discusso nei circoli. Siamo l’unico partito trasparente», prosegue Pagano. «Crediamo che Virginia Raggi non potrà essere un sindaco libero. È stata lei stesso ad ammetterlo in un’intervista: se Grillo glielo chiedesse, si dimetterebbe all’istante. Per ogni decisione Raggi avrà bisogno di confrontarsi con la Casaleggio associati, una società non legittimata da nessun cittadino».Ma parlare di sindaci rimossi d’imperio e scarsa autonomia a Roma può essere terreno scivoloso per tutti. Soprattutto per il Partito democratico. L’immagine di Ignazio Marino sfiduciato davanti a un notaio e non nell’Aula Giulio Cesare è un ricordo ancora troppo fresco per poter giocare sulla distrazione degli elettori. Anche in quel caso non furono gli elettori a decretare la fine di un mandato, ma una decisione maturata ai piani alti: direttamente a Palazzo Chigi, secondo molti. «Il compito dei Gd è archiviare una stagione che non ha portato i frutti che desideravamo e rifondare il partito», ammette Pagano. «Però penso che Marino abbia deciso di voltare le spalle all’estrema fiducia che gli era stata data», aggiunge, rischiando però di sconfinare su argomenti tipici dell’avversario politico. Ufficialmente, infatti, il Marziano fu costretto a sloggiare per una questione dal sapore molto grillino: la scarsa trasparenza sulla rendicontazione. In altre parole, mancavano le “pezze d’appoggio” per alcune centinaia di euro di scontrini. «Non è così. Dentro al partito se ne è discusso per mesi», ribatte il capo romano dei giovani Pd. «L’esperienza di Marino doveva finire perché il sindaco ha dimostrato di essere incapace a gestire quel ruolo. Noi abbiamo capito questa cosa dopo un po’ di tempo, è questo il problema».