È stato il nonno televisivo dei bambini nati negli anni 70, capace di divertirli con le sue canzoni giocose e surreali e di farsi apprezzare anche dai genitori nel primo intrattenimento dei quiz Mediaset, allora Fininvest. E’ stato un cabarettista ai tempi dell’avanspettacolo del secondo dopoguerra e di quello più maturo e folle del Derby di Milano. Si è goduto la stagione d’oro del cinema italiano finendo in cult indimenticabili come Yuppi Du di Celentano, Sturmtruppen di Samperi o Brancaleone alle Crociate di Monicelli, recitando con mostri sacri come Marcello Mastroianni e Vittorio Gassman.Tre le vite del muranese Lino Toffolo, anzi quattro, scomparso ieri all’età di 82 anni nella sua Venezia. Mattatore teatrale, con una gavetta feroce quanto gioiosa, attore di cinema, presentatore in tv e infine persino regista, con quel Nuvole di vetro, esordio alla regia da ultrasettantenne che ci mostrò un suo lato insospettabilmente delicato e profondo, tutto nel suo dialetto e cui oltre a dirigere, scrisse e interpretò. E che la critica accolse con entusiasmo. Giustamente, era un gioiello, autobiografico in cui era un vetraio veneziano soprannominato Nuvole, in ricordo del papà mastro vetraio, che gli aveva insegnato il sacrificio e la fantasia.Impossibile, pensando a lui, non canticchiare Johnny Bassotto o E tutti i gatti miao, con cui ci si divertiva sulle ginocchia dei nonni, guardandolo magari in tv mentre si scatenava in numeri comici che mostravano sia uno straordinario talento nella gestualità e nell’uso di quel piccolo corpo che nel padroneggiare i ritmi della risata e dello sketch. Eppure Lino è sempre stato anche altro e alternativo, uno che sapeva stupirti. Ce lo dimostrò come cineasta, dopo anni da comprimario e commediante, lo ha fatto anche da cantante e musicista. Così suscitò l’interesse di un giovane Enzo Jannacci che rimase colpito dal suo Gastù mai pensà, presente nel primo dei suoi quattro album. Una ballata tenera e struggente, una canzone d’amore così diversa da quella potente e surreale verve comica che al Derby lo avevano fatto diventare un beniamino del pubblico e che negli anni lo portarono a collaborare con Enzaccio così come con Giorgio Gaber (andate a recuperare la loro reinterpretazione, insieme a Pisu e Profazio, del canto anarchico Addio Lugano bella), con Cochi e Renato, con Pippo Caruso e Bruno Lauzi. Jannacci quella canzone la prese e la incise reinterpretandola in Hai pensato mai.Di Lino Toffolo in Italia non ne abbiamo avuti tanti: poliedrico e umile, godeva nel dar piacere al pubblico, senza l’ansia o la presunzione di mettere in mostra la sua grande cultura – il teatro veneto e veneziano gli deve moltissimo -, né il suo impegno anche politico, che lui amava mettere alla berlina, declinandolo con l’arma dell’ironia, della parodia, della follia di una commedia che sapeva sperimentare sul linguaggio. Ecco perché cult geniali come Brancaleone o Sturmtruppen non sarebbero stati gli stessi senza la sua mimica, le sue intemperanze verbali e fisiche apparentemente improvvisate e invece studiatissime, senza quello sguardo stralunato e le battute spiazzanti. Era un grande autore, di pezzi musicali e comici, Toffolo, ma era troppo attore – e questa dote porterà anche in un programma televisivo come Tuttinfamiglia – per abbandonare la scena. E non provarsi in ruoli diversi, come in Telefoni bianchi di Dino Risi.Ma vale la pena ricordarlo per una delle sue meravigliose goliardate. Sì perché forse ve lo ricordate, questo folletto, truccato da biondona tedesca con le trecce, con dei baffetti alla Hitler, vestito da tirolese mentre balla, in un montaggio serrato, su un ritmo che avete sentito più volte. Quelle note le avete sentite, magari, per celebrare, magari, un campione, un bomber come Luca Toni. Ecco, quel Lino era quello del videoclip di Pasta e fagioli, remake italiano di Zuppa Romana. Quest’ultima era stata scritta, musicata e interpretata dal gruppo folk-comico Schrott Nach 8. Nel 1983 la registrarono, nel 1984 spopolò nelle tv tedesche: era una presa in giro degli italiani, fin dagli abiti con cui il gruppo andava in scena, con una lunga sfilza di parole italiane secondo un crescendo non sense piuttosto gretto e razzista. Un pezzo che presto divenne il passatempo preferito per i teutonici che volessero prendere in giro i mal sopportati emigranti italiani. Toffolo la sentì e decise di far da vendicatore, proponendone una cover che fosse apparentemente fedele nel testo e ovviamente nella musica, ma che restituisse pan per focaccia, con più stile ed efficacia comica (loro erano dei cialtroni, lui un artista), e regalando agli italiani all’estero un’arma gustosa e divertente per reagire.Fu Matze Knop a riportare la hit in cima alle classifiche, proprio in quella Germania che aveva provato a ignorarla. Cabarettista anche lui, decise di celebrare, prendendolo in giro, Luca Toni, beniamino del Bayern Monaco per un paio d’anni. Scrisse la canzone Numero Uno e la musicò con lo spartito di Zuppa Romana. Ma, confessò, era la versione di Lino quella che lo aveva fatto ridere.E allora Lino ti salutiamo così: perché far ridere un collega è la dimostrazione della grandezza di un comico. Anche se tu non eri solo questo. Eri molto di più, e non ce ne siamo accorti abbastanza. Ciao, Nuvole.