Va bene, si può derubricare come un’altra delle tante mosse spregiudicate del presidente del Consiglio. Per cui quello che fino a ieri era il plebiscito sul premier, ora cambia pelle - e impianto tattico - e diventa lo scontro tra chi vuole l’inciucio (quelli del No, secondo la nuova impostazione di palazzo Chigi) e chi lavora per semplificare l’Italia (quelli del Sì, la fonte è la stessa di prima).E’ sicuro che di qui a ottobre di caroselli mediatici ce ne saranno tanti, con colpi di acceleratore e di freno uno appresso all’altro. Però il dato politico vero, il macigno che impossibile da spostare sta sempre lì e blocca il percorso. E’ lo spartiacque che non cambia, il teorema destinato a scattare comunque e che recita così: nel caso in cui perdesse il referendum, Renzi non avrebbe altra scelta che salire al Colle e dimettersi nelle mani di Sergio Mattarella. Se le urne risultassero infauste, qualunque piroetta da campagna elettorale non potrebbe infatti esimere il capo del governo dal fare le valigie e togliersi di mezzo. L’ha detto lui. E anche se non l’avesse detto sarebbe lo stesso: un minuto dopo la certificazione della sconfitta, infatti, mezza e più Italia sarebbe pronta a saltargli addosso pronta a reclamarne lo scalpo politico.Dunque lasciamo perdere. Il nodo non è tanto quello che farà Matteo di qui a ottobre, cosa si inventerà, quanti comitati del Sì inaugurerà e cosa faranno i suoi avversari, variamente collocati dentro e fuori il Palazzo, per azzopparlo. Il quesito da jackpot del Superenalotto è un altro, e precisamente: un minuto dopo le dimissioni di Renzi cosa accade?Quesito al quale spetterebbe al Quirinale rispondere. Anche qui c’è poco da fare: Mattarella non potrebbe che certificare l’impossibilità di sciogliere il Parlamento visto che non ci sarebbe la legge elettorale. L’Italiacum, infatti, è pensato per una sola Camera e il no al referendum lascerebbe il Senato com’è ora. L’idea di andare alle urne con due leggi elettorali per due rami parlamentari è un pastrocchio che neanche il più abile dei costituzionalisti potrebbe risolvere. Insomma la caduta di Renzi trascinerebbe con sè anche la riforma elettorale a doppio turno e ballottaggio. A quel punto, mercati finanziari e speculazione permettendo, non resterebbe che andare avanti per l’anno e mezzo di legislatura che rimane nel tentativo di imbastire una nuova riforma elettorale, magari di impianto più proporzionale.Lo scoglio sta qui. Quale governo sorretto da quale maggioranza consentirebbe di realizzare l’obiettivo?Berlusconi l’ha già detto: esecutivo di larghe intese o Nazareno 2.0 che dir si voglia. Facile a dirsi, assai meno a farsi. Il Cav sogna di rientrare in gioco sulle macerie del renzismo: legittimo e allettante. Ma è fin troppo evidente che quelle macerie rovinerebbero su tutto il sistema politico, sogni di rivalsa compresi. Forse sarebbe necessario, e di fatto più plausibile, un resettamento. E si torna al punto di partenza: guidato da chi?L’opzione di un nuovo governo tecnico affidato ad una star tecnocratica alla Mario Monti, mette i brividi: per moltissimi italiani non rappresenterebbe una soluzione bensì un incubo che ritorna. Ci sarebbe Mario Draghi se lo spread schizzasse di nuovo oltre quota 500. Lascerebbe la Bce? Qualcosa di simile è immaginabile se la scelta - sempre al fine di depotenziare lo spauracchio dell’assalto speculativo - cadesse su Ignazio Visco, attuale governatore di Bankitalia.Su tutt’altro versante, più praticabile, se così si può dire, appare il sentiero che porterebbe ad un premier politico. Cancellata la tentazione Maria Elena Boschi, rottamata anche lei dalla frana referendaria e dall’annessa riforma costituzionale, la prima mossa potrebbe essere affidare l’incarico all’attuale superministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, politico certo ma altresì dotato di nuances tecniche apprezzabili anche dai mercati, che resterebbero lo spauracchio da esorcizzare. La difficoltà a quel punto si sposterebbe sulla maggioranza: il Pd lo accetterebbe e Fi ci starebbe? Forse. Complicato invece immaginare che Lega o Cinquestelle farebbero sconti al ministro di Renzi. Volendo provare a coinvolgerli (magari entrambi ma anche uno solo andrebbe di lusso) per un esecutivo di scopo o di emergenza nazionale, il profilo da privilegiare potrebbe assomigliare a quello di Walter Veltroni. L’exsegretario Pd (vittorioso alle primarie con il 76 per cento delle preferenze) offrirebbe una serie di garanzie e magari potrebbe cimentarsi nel tentativo acrobatico di costruire un ponte con i grillini. Difficilissimo, ma non impossibile.Fantapolitica e fantapremier. Allo stato niente di più di un giochino da fare nei salotti o sotto gli ombrelloni prossimi ad aprirsi. Fermo restando che il passaggio del referendum non si può evitare e il fall out politico che deriverebbe dall’affondamento del presidente del Consiglio neppure. Allora può essere che in quel giochino sono in tanti a cimentarsi. Fin da subito.