Dieci anni dopo l’omicidio del vicepresidente della regione Calabria, Francesco Fortugno, quella che sgancia il procuratore della Dda di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, è una vera e propria bomba. «Sui mandanti dell’omicidio dell’onorevole Francesco Fortugno si stanno ancora svolgendo degli approfondimenti», dice rivolgendosi a un pubblico di ragazzi, tutti studenti, che hanno preso parte alla giornata sul tema “Sport e legalità”, al quale sono intervenuti, tra gli altri, il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini e il capo della polizia Alessandro Pansa.Cinque sentenze dopo e con le condanne ormai passate in giudicato, de Raho apre uno spiraglio sulla cosiddetta “zona grigia” che la vedova del politico, l’ex deputata Pd Maria Grazia Laganà, chiede da tempo di far venire alla luce. Anche se un mandante, per la giustizia italiana, ci sarebbe già. L’ergastolo inflitto in via definitiva ad Alessandro Marcianò, infatti, dice questo: è lui la mente del delitto eccellente. Fortugno venne fatto fuori il 16 ottobre 2005, durante le primarie del centrosinistra, a Palazzo Nieddu, a Locri. De Raho ha molto enfatizzato il luogo scelto per freddarlo: un seggio elettorale, un messaggio chiaro da parte della criminalità organizzata. «La ‘ndrangheta vuole limitare ad ogni costo la nostra libertà», in questo caso il diritto al voto.Ed è proprio una questione di voti quella che le sentenze collocano alla base dell’omicidio: Fortugno, scrivono i giudici, ha pagato con la morte quegli oltre 8500 voti che gli sono valsi un posto in Consiglio regionale. Una “punizione” decisa dai Marcianò, ritenuti vicini al clan Cordì, che avevano supportato invece un altro candidato, Domenico Crea, poi subentrato a Fortugno ma mai indagato per quel delitto. Crea ci era andato vicino ma aveva ottenuto pochi voti proprio a Locri, nonostante le promesse di Alessandro Marcianò, caposala dell’ospedale, che gli aveva garantito quasi mille preferenze. Fortugno si era così messo di traverso ai piani dei Marcianò.È per questo, scrivono gli inquirenti, che gli stessi avrebbero commissionato l’omicidio del politico, delegando al giovane Salvatore Ritorto il lavoro sporco. Lo scopo era recuperare terreno nei confronti di colui che avevano appoggiato senza successo, per poter poi chiedere, in un futuro, dei favori. Visto il grande successo di Fortugno, era necessario eliminarlo, per lasciare che quel posto venisse occupato proprio da Crea, anche lui medico, e quindi candidato a diventare assessore alla sanità, con tutti i favori che ne sarebbero derivati. Prima del caposala, nel 2012, erano stati condannati al carcere a vita suo figlio Giuseppe, Domenico Audino e Salvatore Ritorto, battezzati come gli esecutori materiali dell’omicidio.Ma la vedova da dieci anni si chiede se dietro il suo enorme lutto ci sia di più. «L’omicidio di mio marito – ha dichiarato qualche tempo fa - è stato definito da chi ne sa più di me un omicidio politico-mafioso. Allora la mia domanda, legittima, è se c’è una zona grigia». Le parole di de Raho, ora, sembrano concordare con questo dubbio e annunciare indagini su quel livello fatto di commistioni tra malaffare e colletti bianchi ancora tutto da chiarire. «È acclarato che le persone già condannate sono colpevoli e a stabilirlo sono indagini basate sulle parole di due pentiti ritenuti attendibili – sottolineò ancora la Laganà -. Se dovessero emergere elementi nuovi su questa vicenda si potrebbe fare chiarezza anche sull’altro livello, del quale spesso si parla».