Dire che tra governo e magistrati si sia instaurata la pace è davvero troppo. Non si può andare oltre il concetto di tregua armata. Lo dimostrano le considerazioni fatte dal ministro Orlando nell’intervista di ieri al Corriere della Sera e le nuove dichiarazioni pubbliche di Piercamillo Davigo. Il primo prefigura un rinnovamento su almeno tre punti: seria autodisciplina delle toghe nelle loro esternazioni pubbliche, riforma del Csm e riorganizzazione degli uffici dove si prescrivono più processi. Un bel programma. Il presidente dell’Anm a sua volta torna a proporre una diagnosi spietata: «La giustizia in Italia funziona molto male ma noi magistrati ne abbiamo pochissima responsabilità: ci sono cose che non possiamo controllare», dice Davigo all’Open day “Legalità e giustizia” organizzato dal Tribunale di Lecce. Il problema non sono le ferie dei giudici, tanto per cominciare, «ma il numero elevatissimo di procedimenti». Prendersela con la presunta bella vita delle toghe è «un insulto grave», per Davigo. «Noi italiani siamo i magistrati che in Europa lavorano di più, il doppio dei francesi e il quadruplo dei tedeschi. Se io dovessi proporre ai colleghi un’azione sindacale non proporrei lo sciopero, perché gli scioperi non servono a niente, ma di lavorare quanto i magistrati tedeschi». C’è ben altro su cui intervenire, piuttosto che sui privilegi, per Davigo inesistenti, dei giudici italiani: non solo il numero dei processi, ma la stessa «legge» che «tutela chi la viola e non chi subisce le violazioni: comportarsi male qui conviene»; e persino la Cassazione, che definisce «100mila processi l’anno a fronte dei 1.000 della Francia». Col risultato di «contrasti inconsapevoli tra le Sezioni, che consentono poi a chiunque di trovare un precedente che gli dia ragione: in questo modo la Suprema corte assicura solo disordine».Ecco: messa così a qualsiasi ministro della Giustizia passerebbe la voglia di fare le riforme. Il punto è che un certo latente nervosismo tra i magistrati, consiglieri del Csm compresi, si spiega proprio con l’imminente riforma dell’organo di autogoverno, annunciata per l’estate dal guardasigilli sempre nell’intervista al Corriere.  Il «disegno di legge organico» dunque ci sarà, «a partire dal sistema elettorale». È il cuore di tutte le battaglie tra politica e magistratura. Le correnti sono in guardia. Orlando aspetterà che il Csm approvi in una delibera il parere sulla “Relazione Scotti”, ossia le conclusioni della commissione ministeriale presieduta dal giudice Luigi Scotti e consegnata già nel mese di marzo. Vi si propone di eleggere i togati del Csm attraverso un sistema a doppio turno, primo round con l’uninominale, ballottaggio aperto alle liste ma anche al voto disgiunto. All’interno di una componente assai radicata come “Area” le preoccupazioni riguardano soprattutto la dimensione dei collegi: se fossero troppo piccoli, prevarrebbero le microreti di relazioni piuttosto che che un «chiaro progetto di autogoverno». È un’argomentazione forte questa, proposta dalle correnti a difesa della loro funzione. Rispetto a simili, decisivi aspetti, gli ingranaggi delle nomine e lo stesso intervento dei giudici nella campagna referendaria si riducono a meri orpelli. Ieri è saltata la riunione sul codice di autoregolamentazione del Csm: se ne parla la settimana prossima. Probabile che si arrivi a un vademecum scritto. Ma varrà solo per i membri del Consiglio superiore. Tutte le altre toghe d’Italia saranno libere di misurarsi con la propria coscienza, come ha detto il guardasigilli.