La legge prevede che gli assassini dei propri cari - coniugi, genitori o figli - non possano godere dell’eredità lasciata dalle loro vittime. L’istituto è quello dell’“indegnità a succedere” e rappresenta l’unica tutela civile per le vittime collaterali dei crimini di sangue. Una tutela che, però, deve essere dichiarata efficace da un giudice civile con sentenza in seguito ad una domanda della vittima collaterale, altrimenti si prescrive. In altre parole, l’indegnità dell’assassino è una causa di esclusione dall’eredità, ma opera solo se fatta valere dagli altri eredi.Come nel caso di Vanessa Mele, vittima impotente della tragedia che ha colpito la sua famiglia. Nel 1998 perse la madre, assassinata dal padre, e da allora porta avanti la lotta per rendere automatica l’esclusione dall’eredità del coniuge assassino. Alla Camera è depositato un disegno di legge firmato dal senatore Pd Roberto Capelli, che punta a rendere automatica la sospensione dalla successione dell’indagato per omicidio del coniuge e ad escluderlo in caso di condanna. Non solo, il ddl prevede anche la modifica del codice penale nel senso di imporre al giudice di liquidare alle vittime dell’omicidio una provvisionale del 50% del presumibile risarcimento del danno, che poi sarà poi quantificato nel procedimento civile. Un modo, questo, per garantire ai figli, vittime due volte della violenza omicida perché improvvisamente senza entrambi i genitori, una tutela immediata, almeno sul piano economico.Eppure, nel leggere il testo del disegno di legge - che pure deve essere ancora sottoposto al vaglio dell’aula - viene spontaneo riflettere su come il diritto debba aderire alle situazioni concrete della vita, ma rimanere generale e astratto nella sua forma. I presupposti del ddl rispondono ad una necessità vera e concreta di tutelare le vittime collaterali di un crimine odioso, eppure la sua formulazione rischia di tagliare fuori da una garanzia di giustizia tutte le vittime che non siano figli. Il testo, infatti, prevede l’automatica esclusione dall’eredità solo per gli assassini “dell’altro coniuge”, senza considerare i casi - previsti dall’articolo che disciplina l’indegnità a succedere - dell’omicidio dei genitori o dei figli. In questi casi, dunque, gli altri eredi che vogliano impedire all’omicida di succedere, dovranno sempre passare per un’aula di tribunale civile. La proposta, poi, prevede sul piano civile la «sospensione dalla successione del coniuge indagato». Una disposizione che, se approvata, rischia di creare più di un problema di applicazione. La «sospensione» di un soggetto dalla successione, infatti, non è mai prevista nel nostro ordinamento, che contempla solo la «sospensione della divisione». Quest’ultima opera, per esempio, nel caso in cui l’erede sia un nascituro e la divisione ereditaria si sospende, in attesa che nasca. Sospendere un indagato dalla divisione, invece, significherebbe interrompere la divisione stessa, in attesa che sia condannato oppure assolto. Sarebbe impensabile, infatti, procedere a dividere l’intera eredità tra gli altri eredi e poi chiedere la restituzione di una quota, nel caso in cui l’indagato sia innocente.