C'è un salto logico - che però è politicamente comprensibilissimo e segna un cambio di fase nella campagna elettorale amministrativa - tra il Matteo Renzi che comincia la settimana ai microfoni di Rtl con una sorta di “così fan tutti” riguardo la questione morale, e poi la chiude da Fabio Fazio ammettendo che dentro il Pd il problema esiste eccome: «Non si può negare la realtà». Politicamente comprensibilissimo perché in mezzo ci sono sia le inchieste che sono diventate un calvario quasi giornaliero con il loro bollettino di indagati e/o arrestati con targa Nazareno, e sia i sondaggi che si imbevono di negatività per il Pd e segnalano il crescente arrembaggio dei Cinquestelle. Che poi anche i grillini, vedi Livorno, abbiano i loro problemi è indubbio: a questo proposito, di che spessore sia la veemenza della ritorsione mediatica piddina lo spiega Emanuele Fiano ed il suo paniere colmo di dati: «Il fallimento dei Cinquestelle nei comuni è denunciato dai numeri. Infatti hanno vinto in 17 amministrazioni collezionando espulsioni, guai giudiziari e dimissioni in 13 casi, il 75% del totale, pari a 3 amministrazioni su 4. Nel 50% dei casi in cui hanno vinto - 8 amministrazioni su 17 - è finita con le espulsioni di sindaci, assessori o consiglieri. A questa tornata elettorale di giugno, si presentano solo nel 18% dei comuni in cui si vota, 251 su 1368. Di fronte a questo quadro disarmante, come pensano di poter governare città come Roma, Milano, Napoli o Torino?».Tuttavia attenzione. Renzi rivendica «il genuino garantismo» del Pd da cui fa discendere la decisione di non reclamare le dimissioni di Nogarin. Lo fa perché il nocciolo vero del problema non sta - o non solo - nella contraerea da attivare. Il nocciolo vero sta dentro al partito. Nelle sue regole, nelle sue articolazioni territoriali, nella sua classe dirigente. Il messaggio che il premier lancia ricalca quello solito, casomai con l’aggiunta di maggiore determinazione: mai e poi mai vergonamoci del Pd ma al contrario alziamone la bandiera; rivendichiamo le tante cose buone fatte e i concreti risultati ottenuti sia a livello nazionale che locale; cogliamo l’occasione per creare le migliori condizioni possibili per l’appuntamento politico decisivo che era e resta il referendum costituzionale di ottobre. Nel mezzo, se si stabilisse una moratoria anche solo parziale delle polemiche interne, che troveranno occasione di sfogo e confronto nel congresso da anticipare di qualche mese, ad esempio immediatamente dopo i seggi referendari dell’autunno, tanto di guadagnato.Basta? Beh, diciamo che per sedare le tracimanti ansie di un partito che da un lato si sente giudiziariamente assediato e dall’altro deve fronteggiare appuntamenti elettorali che è impossibile derubricare, è probabile. Ma sul fronte più esposto, quello cioè della competizione con le opposizioni e soprattutto del consolidamento del legame con la parte maggioritaria dell’opinione pubblica, quasi certamente no. Il problema è sempre lo stesso e Renzi, se non lo affronta, se lo ritroverà comunque tra i piedi.Semplificando. Delle due l’una: o la questione morale nel Pd non esiste, si tratta solo di casi singoli, magari a volte anche gravi, ma comunque non riconducibili ad una infezione generalizzata a vasto raggio, e che per questo possono essere debellati lavorando di concerto con i magistrati e espungendo le mele marce laddove si annidano. Oppure, al contrario, la questione c’è; e allora riguarda la selezione della classe dirigente, il modo di funzionare del partito in periferia, gli eletti nelle amministrazioni, gli interessi che vengono coinvolti, gli anticorpi da attivare. E soprattutto, in questo secondo caso, i controlli da esercitare e la leadership da svolgere.Insomma il punto nevralgico è il doppio incarico di Matteo: presidente del Consiglio e segretario del Pd. Fare insieme le due cose è difficile: se le emergenze si moltiplicano, da quelle di taglio europeo o addirittura mondiale come gli immigrati alle vicende di Lodi e del sindaco pd giustificatamente incarcerato o meno, allora il corto circuito si annida dietro ogni angolo. E il rischio di incendio pure.E’ il tasto dolente su cui batterà la minoranza interna un attimo dopo la chiusura delle urne amministrative. Un modo per sollevare una questione seria che però verrà agitata nel tentativo, fin troppo scoperto, di indebolire il presidente del Consiglio e condizionarlo in vista dell’appuntamento referendario. E che perciò, al di là delle buone intenzioni, invece di sedarle, rinfocolarerà le polemiche.