Doina Matei ha riottenuto la semilibertà, ma il suo raggio d’azione sarà particolarmente limitato, almeno in riferimento alle nuove tecnologie. La romena condannata a 16 anni di carcere per l’omicidio in metro della 23enne Vanessa Russo, avvenuto nel 2007, si è vista riconoscere nuovamente i benefici concessi in precedenza, con alcuni evidenti distinguo. Il tribunale di sorveglianza di Venezia le ha inibito infatti l’accesso a tutti i social network e a Internet. Per il collegio presieduto da Giovanni Pavarin dunque, non potrà fare uso di Facebook, Instagram, Twitter e della Rete, se non in casi eccezionali, per contattare gli operatori che la assistono nel percorso di una «riabilitazione sicuramente non semplice».La misura alternativa al carcere era stata sospesa dopo la pubblicazione su Facebook di alcune fotografie, che la ritraevano sorridente al mare o al bar, «quasi incurante dell’eterno dolore cagionato». I magistrati hanno però accolto il ricorso presentato da gli avvocati Carlo Testa Piccolomini e Nino Marazzita. Quest’ultimo ha esultato per la pronuncia favorevole: «L’Italia rozza, che vuole tornare al Medioevo, è stata sconfitta. I giudici hanno ripristinato un principio di civiltà giuridica protetto dalla Costituzione, la pena finalizzata anche al recupero del condannato».Per il Tribunale, «che certamente comprende tutto lo sgomento, e finanche l’incredulità, dei congiunti di Vanessa Russo», non vi fu una grave violazione delle prescrizioni, anche se «le trasgressioni poste in essere dalla Matei sono state sicuramente inopportune per il rinnovato, acuto dolore, che hanno provocato nelle persone offese dal reato, le cui sofferenze non potranno certamente essere lenite da qualunque decisione».Doina ha violato il divieto di usare lo smartphone per connettersi a Internet o per collegarsi ai social network, giustificandolo con la necessità di mantenere un contatto con il figlio più piccolo. Il tribunale di Venezia ha riconosciuto alla 30enne romena «una condotta connotata da notevole impegno nel disbrigo delle mansioni lavorative, come dimostrato dalla circostanza che i rappresentanti legali della cooperativa sociale Onlus “Il Cerchio”, datrice di lavoro con sede a Venezia, sono disposti ad offrirle una nuova prospettiva occupazionale». Per oltre un anno la condannata ha fruito di licenze premio, utilizzate per rinsaldare i legami familiari con la madre, la sorella e appunto il più grande dei suoi figli, evitando qualsiasi rilievo disciplinare e partecipando ad attività di volontariato, «significative e apprezzabili».