Ci sono personaggi della nostra storia recente che in virtù di una egemonia culturale e politica a lungo imperante sono stati relegati in dei margini, e ingabbiate in “marginalità” che sono ingiuste; e che sarebbe tempo di riconsiderare, nei loro pregi che ci sono, nel loro “fare” che non bisogna cancellare, e certo, avendo cura di pesare limiti, errori, sbandate. Ma comunque vanno strappati dalla cancellazione, e sottoposti al vaglio critico senza pregiudizi; e questo perché persone, questioni, avvenimenti, fatti, bisogna valutarli per quello che effettivamente sono stati, e non per quello che si desidera siano. Uno di questi personaggi, per capirci, è Randolfo Pacciardi, leggendario combattente delle Brigate Garibaldi che lotta strenuamente contro il golpista Franco, negli anni della tremenda guerra civile in Spagna; nel dopo-guerra parlamentare costituente, ministro degli Esteri, segretario del Partito Repubblicano, infine per decenni relegato ai margini della vita politica, isolato e accusato di ogni infamia per la sua netta opzione a favore del regime presidenziale modello Stati Uniti d’America; e infine, ultranovantenne, “riabilitato” e riammesso in quel PRI da cui era stato espulso. Sarà il caso, prima o poi, di tracciarne un ritratto, con il conforto di un’ancora interessante libro-intervista ormai introvabile, quel “Cuore da battaglia” curato da Giuseppe Loteta quasi trent’anni fa, per le edizioni del Gallo.Un altro personaggio (che non per caso spesso si intreccia con le vicende, i luoghi, e il “fare” di Pacciardi), è Edgardo Sogno. Anche lui intrigante: un po’ André Malraux, senza averne la vena del grande scrittore; nobile per lignaggio, classe 1915, guascone nella vita e al tempo stesso gentiluomo di antico stampo, attentissimo e sensibile alla regola e alla sostanza.Edgardo Sogno Rata del Vallino (questo il nome completo), sabaudo fino al midollo, tre lauree (giurisprudenza, scienze politiche, lettere), negli anni del fascismo è ufficiale di cavalleria: partecipa alla guerra di Spagna, ma lui, a differenza di Pacciardi, combatte con le milizie franchiste. Poi, anni dopo, lo troviamo a capo di una formazione partigiana autonoma, liberale e monarchica, la “Franchi”; salva la vita a uno dei padri della Repubblica, Ferruccio Parri e viene insignito della Medaglia d’oro al valore militare.Dichiaratamente liberale e monarchico lo troviamo a fianco di quanti si oppongono ai rigurgiti del neo-fascismo nostalgico, ma ancor più mobilitato contro i comunisti: «Sono contro tutte le dittature, nere o rosse che siano», il suo motto e il suo credo. Membro della Consulta in rappresentanza del Partito Liberale, con Angelo Marigliano fonda Il Corriere Lombardo; si batte, nei giorni del referendum a favore della monarchia, poi entra in diplomazia: Parigi, Washington, Buenos Aires, Rangoon.Un anticomunismo dichiarato, esplicito; accompagnato da un giudizio severo sulla Repubblica “nata dalla Resistenza” che lui, grande ammiratore di De Gaulle, giudicava un qualcosa di avvelenato dalla presenza dei comunisti e dal pavido cedimento dei liberali. Nel 1954 Mario Scelba diventa presidente del Consiglio. Sogno viene richiamato in Italia per organizzare il movimento “Pace e Libertà”, finanziato dal ministero dell’Interno. Sollecitato, molti anni dopo a spiegarne le ragioni, Scelba racconta che si tratta di “un presidio democratico per difendere l’Italia dai pericoli dello stalinismo”. In quel periodo i collaboratori diretti di Sogno sono Luigi Cavallo, ex giornalista dell’“Unità” che con una piroetta di centottanta gradi passa all’anticomunismo più acceso; e un altro “ex”, Roberto Dotti, già capo dell’ufficio quadri del PCI a Torino.La FIAT, che deve fare i conti con una fierissima e combattiva classe operaia, è prodiga di finanziamenti. Nell’autunno del 1970 fonda i Comitati di Resistenza Democratica, vi si trova di tutto: ex partigiani mescolati ad ex repubblichini, e una quantità di personaggi che legittimamente lasciano perplessi; tutti cementati da un anticomunismo che allora si definiva “viscerale”. Sogno assume via via posizioni che vengono bollate come “golpiste”. A Torino c’è un giovane magistrato che indaga sull’organizzazione di estrema destra Ordine Nuovo; e si imbatte così in Sogno. Quel magistrato si chiama Luciano Violante. Sono anni che sembrano remoti, eppure si parla del 1976, appena quarant’anni fa: Sogno, accusato di golpismo e cospirazione, attentato alla sicurezza del Capo dello Stato, viene arrestato. La vicenda entra nella storia come “Il golpe bianco dell’ex ambasciatore Sogno”. Un paio d’anni dopo è assolto da tutte le accuse.In un libro-intervista ancor oggi di utile lettura, Testamento di un anticomunista, curato da Aldo Cazzullo, Sogno dà atto che le accuse nei suoi confronti non erano completamente infondate: «…Iniziando l’organizzazione militare per lo strappo al vertice sul modello gollista, io non avevo dubbi, come non ne aveva Pacciardi, di compiere un atto dovuto, nella difesa della libertà democratica e per la ricostruzione dello Stato sulle sue basi storiche risorgimentali…». E ancora: «Si trattava di un’operazione politica e militare, largamente rappresentativa sul piano politico e della massima efficienza sul piano militare. Nell’esecutivo, che avrebbe dovuto essere guidato da Pacciardi, erano autorevolmente rappresentate tutte le forze politiche, ad eccezione dei comunisti, con personalità liberali, repubblicane, cattoliche, socialiste, ex fasciste ed ex comuniste. Tra loro c’erano cinque medaglie d’oro al valor militare: due della guerra 1940-43, Luigi de la Penne e Giulio Cesare Graziani, e tre della guerra di Liberazione: Alberto Li Gobbi, Aldo Cucchi e io».Millanterie? Sogno elenca quelli che a suo dire erano i principali reparti pronti a operare, con i loro comandanti: «La Regione Militare Sud, il comandante; la regione Militare centrale, il vice-comandante e il capo di Stato maggiore; l’Arma dei carabinieri, il vice-comandante; la Divisione carabinieri Pastrengo, il comandante; la Legione carabinieri di Roma, il comandante; la Divisione Folgore, il comandante; la Marina, il capo di Stato Maggiore generale; l’Aeronautica, il capo di Stato Maggiore generale; la Guardia di Finanza, il generale comandante; la Scuola di guerra, il generale comandante…». Millanterie? O forse, per dire, uno scenario simile a quello descritto da Leonardo Sciascia ne “Il Contesto”, dove Sogno si illude (e viene illuso) di poter fare il suo piano di risanamento del paese che si risolve in definitiva in un ulteriore consolidamento e stabilizzazione del regime esistente (e per certi versi, questo sì, è il vero golpe)?Lasciando in altra occasione le divagazioni (che varrebbero per ieri, ma anche per l’oggi, e certe pagine scritte non solo da Sciascia, ma anche, e non per caso, da Marco Pannella, suonano da ammonimento e SOS), Sogno, sollecitato sempre da Cazzullo, a un certo punto spiega: “Se guardiamo all’aspetto giuridico-formale, è vero che il colpo di Stato non sussiste, perché non è mai avvenuto. Certo, il codice contempla e punisce anche la preparazione di iniziative eversive, ma il magistrato che le vuole reprimere, deve provarle: non basta raccogliere indizi o maturare una convinzione, smentita dal mio proscioglimento. Violante fallì totalmente nel provare giudiziariamente la nostra organizzazione, anche se la sua azione di demolizione della mia figura e della mia posizione fu senza dubbio un successo per i comunisti, e mi escluse senza riserve dalla vita politica. Per me le conseguenze negative non furono soltanto politiche, ma anche economiche, di carriera, di relazioni sociali, con perdite di occasioni di lavoro giornalistico e culturale, con umiliazioni ed esclusioni…”. Un’ottima sintesi di quella vicenda è offerta da Cazzullo stesso: “Lei mi ha raccontato i preparativi per la sua operazione politica e militare, e ne ha rivendicato le motivazioni ideali. Riconosce che Violante aveva intuito la sostanza, pur non riuscendo a ricostituire la forma”. E alla fine, quando si arriva alla domanda: chi l’ha colpita, chi ha messo la magistratura sulla giusta pista, la risposta è secca: “Fu il ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani a mettere in moto la macchina che portò al mio arresto”. Appunto, il “contesto”.Un “ritorno”, sia pure a 72 anni pieni, lo deve a Bettino Craxi. E’ il 1988, e gli “apre” le pagine del quotidiano socialista “l’Avanti! ”. Il primo articolo, del 20 settembre fa rumore: proprio lui, Sogno, auspica una alternativa alla Democrazia Cristiana costituita da un polo laico-socialista con la partecipazione del PCI, guidata da Craxi. Si guadagna subito una velenosa replica da parte de “Il Popolo”, il quotidiano DC. Commenta compiaciuto: “Se hanno scelto me per fare una polemica politica ad alto livello, vuol dire che la mia voce conta ancora”. Giuliano Ferrara lo stuzzica per “Il Corriere della Sera”: se in questo Governo di alternativa laica il ministro della Giustizia fosse Violante? “Perché no. In politica non esistono rancori personali”. Dovesse capitare l’occasione di imbattersi in alcuni suoi libri (“La storia, la politica, le istituzioni”; “Fuga da Brindisi e altri saggi”; “La grande utopia”, “La pietra e la polvere”, “Guerra senza bandiera”, per dire di alcuni titoli), il consiglio, per quel che può valere, è di non lasciarseli sfuggire. Sono letture di qualche insegnamento anche oggi, il tempo non li ha usurati.C’è un’intervista molto bella, rilasciata da Sogno a Giampiero Mughini, per Storia Illustrata uscita nel giugno 1990. In quella lunga intervista Sogno ripercorre tutta la sua vita: racconta di Ferruccio Parri e di Luigi Barzini jr; di come gli unici a difenderlo nei giorni bui, siano stati Indro Montanelli e Domenico Bartoli; di come sia stato ferito da Giorgio Bocca, che lo intervista dopo la scarcerazione per Repubblica mandato dall’amico Carlo Caracciolo, e non ne viene fuori un colloquio «da partigiano a partigiano…mi trattò molto male»… Mughini conclude ricordando il gran clamore mediatico il giorno dell’arresto; e chiede: come fu data la notizia del suo completo proscioglimento da ogni accusa? «Dal telegiornale della notte», risponde Sogno. Non è cambiato nulla.