Qualche giorno fa anch’io sono andato a trovare Marco Pannella a via della Panetteria. Non lo incontravo da qualche anno ed ero renitente a farlo, ma mi ha convinto Clemente Mimun, incontrato allo stadio. Gliene sono grato perché lo dovevo sia a Marco per una sorta di pellegrinaggio laico, sia a me stesso per la storia che ho alle spalle e perché questa visita mi ha arricchito umanamente.Ho incontrato Marco Pannella per la prima volta quando avevo 17 anni e successivamente in alcuni momenti politici cruciali (i più significativi sono stati il referendum sul divorzio e la vicenda di “Mani Pulite”) e in una circostanza drammatica della mia vita personale. Il nostro incontro a via della Panetteria è iniziato sul filo di una evocazione reciprocamente ironica e autoironica dei ricordi, alla presenza di Alessio Falconio e di Matteo Angioli. Ho iniziato io: «Quando a 17 anni mi sono iscritto in quel partito radicale – il partito radicale di Mario Pannunzio, di Carandini, di Benedetti, di Piccardi, di Adolfo Gatti, di Ernesto Rossi – tu Marco guidavi una corrente di minoranza che contava poco, ricordi? ». Risposta lapidaria: «Non hai capito un cazzo». E io rivolto ai suoi giovani amici «Marco non vuole ammettere che allora era in minoranza in quelle assemblee elitarie di circa una cinquantina di persone. Andammo in maggioranza solo una volta unendo i voti fra il nostro gruppetto di filo socialisti, guidato dal critico d’arte Giovanni Previtali, e la corrente di Marco, su una mozione riguardante l’Algeria (noi eravamo per l’indipendenza dell’Algeria e invece gli altri erano per l’Algeria francese); ottenemmo la maggioranza perché tu riuscisti a portare in assemblea tutta la famiglia del professor Marchiafava che era di ben sei elementi e quindi determinante». Marco, illuminandosi di un sorriso come se si trattasse di un fatto politico importante avvenuto ieri: «Sì fu un bel colpo, un colpo a sorpresa, Pannunzio ci rimase di sasso».Sempre io, rivolto ai suoi giovani amici: «Nessuno ricorda che in quel periodo Marco faceva il corrispondente da Parigi per il Giorno e quindi ci portava tutte le suggestioni che allora derivavano da una Francia politicamente e culturalmente assai vivace. Quel partito radicale aveva una vita interna asfittica ed elitaria ma faceva i bellissimi convegni del Mondo, che era appunto il settimanale diretto da Mario Panunzio. Poi Marco ereditò e trasformò totalmente il partito radicale “prima maniera” quando esso si spaccò in modo francamente grottesco sul cosiddetto caso Piccardi».Anche qui i ricordi si sono intrecciati, ma in questo caso sono risultati del tutto comuni. Nel partito radicale da un lato Carandini e Pannunzio, dall’altro Piccardi, erano ai ferri corti; ma la pubblicazione del libro di Renzo De Felice su “Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo” fu la causa indiretta della rottura e della fine di quella versione del partito radicale. In una nota del libro era scritto che Leopoldo Piccardi si era recato a Berlino durante il periodo nazista per partecipare ad un convegno giuridico. Carandini e Pannunzio accusarono Piccardi di collusione con il nazismo. Io allora ero già iscritto al PSI ma mi recai, insieme a molti altri, all’assemblea del partito radicale in cui avvenne una sorta di “giudizio di Dio”, di resa dei conti finale alla quale Marco Pannella non partecipò. Credo anzi che fu l’unica volta nella quale Pannella fu presente ad un’assemblea senza prendere la parola.Quell’assemblea fu insieme drammatica e ridicola. La difesa di Piccardi fu presa da Ernesto Rossi, al quale sul piano dell’antifascismo non potevano certo esser date lezioni, e il suo però più che un’arringa difensiva fu un attacco spietato. Ernesto Rossi si alzò e aveva in mano un bel mazzo di fotocopie che cominciò a leggere: «Mussolini motore del secolo… Hitler lo statista tedesco…» e altre cose delle stesso tipo: «Chi ha scritto queste puttanate? » gridò Rossi con voce stentorea «Forse il nazista Piccardi? No! L’antifascista Pannunzio! ».Mario Pannunzio era a due metri da Ernesto Rossi e tirò i fogli per aria. Per un pelo non finì a botte e fu lì che finì il partito radicale nella sua versione originaria.Nella notte Pannella occupò la sede del partito, prese gli schedari e iniziò tutta una nuova storia. Qualche anno dopo ci fu la battaglia per il divorzio. A quel punto ho ripreso la parola: «Il divorzio è stato ottenuto per merito di due persone, di Marco e di Loris Fortuna. Allora io ero responsabile stampa e propaganda del PSI, noi socialisti facemmo una bellissima campagna referendaria e fra l’altro ideammo la manifestazione laica che si svolse a piazza del Popolo nella quale parlarono Malagodi, Nenni, La Malfa, Parri e Pannella. Ricordo sempre che i comunisti dicevano che noi, radicali e socialisti, eravamo dei pazzi che non tenevano conto della realtà profonda del paese e che avremmo perso il referendum. Fino alla fine Paolo Bufalini (il dirigente che trattava per il Pci i rapporti con il Vaticano) ricercò un compromesso. I risultati del referendum sorpresero innanzitutto due persone: da un lato Fanfani - chre aveva guidato la campagna della Dc - e dall’altro Berlinguer e con lui una larga parte del gruppo dirigente del PCI». Pannella: «Non è stata né la prima né l’ultima volta che i comunisti, che rivendicassero di conoscere nel profondo la società italiana, non capirono nulla a causa del loro schematismo».Mentre parlavamo, neanche per un attimo Marco ha smesso di fumare, alternando il sigaro alla sigaretta e i suoi occhi erano vivi e penetranti come sempre. Dopo aver ricordato un momento di grande consenso -il 1974 - a quel punto ho voluto evocare la grande delusione che mi ha dato Marco: «Ricordi, era il 1993 e il PSI stava affondando distrutto da Mani Pulite. Convinsi Ottaviano Del Turco, che era diventato segretario del PSI, ad incontrarti. Venimmo da te, mi sembra alla sede di Torre Argentina. Entrambi ti dicemmo la stessa cosa: invece di riunire alle 6 del mattino quei disgraziati di deputati socialisti e democristiani colpiti da avvisi di garanzia, perché non prendi tu la leadership dell’area laica e socialista? Noi da soli non ce la facciamo. Occorre qualcuno dotato di carisma, di credibilità che marchi una totale discontinuità. Solo così una storia gloriosa oggi invece devastata può essere riscattata. Tu fosti dolce, gentile, umano, ma non raccogliesti l’appello. Avevi in testa tutto un altro progetto».Pannella mi sorride, è chiaro che preferisce sorvolare. «Adesso voglio ricordare un episodio del tutto personale. Si è svolto in un ospedale romano. Mi trovavo lì ed ero disperato perché stavano dimettendo dalla sua stanza mia madre che era all’ultimo stadio dell’Alzheimer. Allora vivevo da solo, non sapevo cosa fare. Tu eri lì, per un controllo dopo uno dei tuoi digiuni. Ci incrociammo in un corridoio, non ti volevo parlare di una questione così personale ma tu mi costringesti a dire perché ero lì. Prendesti a cuore la questione, chiamasti il primario che era diventato tuo amico dopo averti controllato chissà quante volte e risolvesti la questione con poche battute».Marco si gira, mi fissa e mi sorride. Fino a quel punto il colloquio si è svolto in condizioni sostanzialmente paritarie e senza che ce ne accorgessimo parlavamo da circa trequarti d’ora. A quel punto ha preso la parola e non l’ha più abbandonata per la mezz’ora successiva, spaziando da Cossiga a Berlusconi a Carlo De Benedetti all’antico e nuovo capitalismo all’imprevedibilità del nuovo quadro internazionale. Parlava a tre persone ma era come se ne avesse davanti mille. Mentre Marco Pannella parlava, pensavo a come la vita di tanti di noi sia stata intrecciata con la sua, alle tante volte in cui ci ha fatto incazzare o a quelle in cui invece lo abbiamo amato perché esprimeva in modo compiuto quello che magari noi avevamo avvertito in modo confuso o che non avevamo avuto il coraggio di dire.Fra le tante battaglie che Pannella ha dato, voglio qui sottolineare, perché tuttora in corso, quella sui carcerati e sul regime carcerario. È singolare esperienza quella di Marco Pannella, perché per un verso egli è stato ed è assolutamente concentrato su una dimensione partitica, quella del “suo” partito radicale, anche compresi i suoi riti, le sue liturgie assembleari e i suoi conflitti interni; per altro verso egli ha fatto leva su questo piccolo partito per sollevare enormi questioni e per parlare a milioni di persone che con il suo partito non hanno nulla a che fare o che addirittura non ne conoscono neanche bene l’esistenza.Ora so benissimo che probabilmente lo infastidirà il fatto che qualcuno sollevi a suo proposito una questione istituzionale, ma voglio farlo lo stesso: perché finora Marco Pannella non è stato nominato senatore a vita? Sarebbe bello per il parlamento nel quale io continuo a credere che diventi senatore a vita un battitore libero assoluto e totale, un personaggio carismatico estraneo ad ogni schema ed anzi “capace di tutto” cioè di ogni provocazione e trasgressione, un soggetto pericoloso e inquietante che ha reso e rende più ricca la nostra vita anche quando ci fa arrabbiare perché non condividiamo affatto né quello che propone né come lo fa. Ma questo è Marco Pannella e fortuna che esista. Senza di lui tutto sarebbe più piatto, triste, burocratico, scontato, anche perché oggi il dibattito politico non è certo vivificato dalle urla dai berci e dagli insulti di questi populisti da quattro soldi che oggi dominano la scena.