La vicenda giudiziaria di Giovanni Bernini, l’ex assessore di Forza Italia al comune di Parma, coinvolto lo scorso anno nella maxi inchiesta “Aemilia”, l’indagine della Dda di Bologna sulle infiltrazioni mafiose in Emilia Romagna, racchiude in sè alcune delle principali criticità del sistema giudiziario italiano e dei suoi effetti “collaterali” sulla vita democratica del Paese. E cioè, la durata dei processi, il rovesciamento delle libere scelte dei cittadini con il voto elettorale, la questione dei magistrati “prestati” al potere esecutivo.Per questi motivi, proprio nei giorni che hanno visto infiammarsi la polemica fra la magistratura e la classe politica, accusata dal presidente dell’Anm Piercamillo Davigo di essere un accolita di ladri, merita un’attenta riflessione.Diciamo subito che l’altro giorno, al termine dell’udienza celebrata con il rito abbreviato, il gup ha assolto Bernini perché il fatto non sussiste.Secondo la Procura di Bologna, in occasione della campagna elettorale per le elezioni comunali di Parma del 2007, Bernini avrebbe ottenuto dei voti anche dalla ’ndrangheta. A farglieli avere sarebbe stato Romolo Villirillo, originario di Cutro (in provincia di Crotone). Le prove? Delle intercettazioni telefoniche fra alcuni appartenenti alla cosca Grande Aracri che si complimentavano fra loro della sua elezione. Tanto è bastato, visto che non è stata trovata alcuna dazione di denaro da parte di Bernini, per chiedere la sua condanna a 6 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio politico mafioso. Condanna richiesta nonostante in precedenza il Gip avesse rigettato la richiesta di arresto di Bernini avanzata dalla Procura, non ravvisando l’imputazione per reati di mafia, e il Tribunale della Libertà avesse respinto l’appello presentato contro tale decisione.L’indagine Aemilia, per la cronaca, aveva coinvolto, sempre con l’accusa di contiguità con la ’ndrangheta, anche altri due esponenti di Forza Italia: l’ex sindaco di Mantova, Nicola Sodano, costretto alle dimissioni, e il capo gruppo azzurro al consiglio comunale di Reggio Emilia Nicola Pagliani. Entrambi assolti. Per Pagliani l’accusa aveva, addirittura, chiesto 12 anni di carcere.Dichiara Bernini: “il Pm che ha condotto le indagini è il dott. Marco Mescolini, colui che nel 2006 all’interno del Governo Prodi ricopriva il ruolo di capo ufficio del vice Ministro dell’Economia, il Senatore del Pd Pinza. Questo accanimento contro gli esponenti di Forza Italia solleva molti dubbi sull’opportunità che magistrati impegnati in politica ed in incarichi governativi possano svolgere poi indagini contro esponenti di parti politiche avverse”. E ancora: “si pone fine ad un calvario durato anni e ad un teorema assurdo, per cui se è uno di Berlusconi a cercare i voti tra i residenti di origine meridionale, trattasi di mafia; se invece è uno della sinistra trattasi di normale e democratica ricerca del consenso”. “Per questo motivo - conclude Bernini - ho deciso di presentare un esposto alla procura generale della Corte di Cassazione e al Csm affinché sia valutato l’operato del Pm Mescolini”.