Lui è sconvolto, scioccato e ripete ad amici e familiari che con camorristi e mafiosi non ha mai avuto nulla a che fare. E in effetti c’è qualcosa che non torna nell’indagine che ha colpito Stefano Graziano, l’ex segretario del Pd campano, travolto dall’inchiesta della procura napoletana.Ma andiamo con ordine: Stefano Graziano è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa per aver chiesto voti in cambio di favori a un (presunto) affiliato del clan dei Zagaria.Ma qui bisogna fare subito attenzione perché potremmo cadere nel primo “tranello”: l’affiliato suddetto, amico del politico campano, si chiama Alessandro Zagaria e nulla ha a che vedere col sanguinario boss del casertano che si chiama Zagaria, sì, ma Michele. Quest’ultimo, infatti, mai e poi mai avrebbe potuto incontrare chicchessia visto che è in gattabuia dal 2011 e ne avrà ancora per molto visto che dovrà scontare numero tre ergastoli.Né Zagaria Alessandro (l’amico del politico) ha alcun legame di parentela col ferocissimo boss. Quel cognome in comune, infatti, è un mero caso di omonimia che ha tratto in inganno più di un cronista e più di un lettore.Ora, secondo gli inquirenti, pur non essendo un boss né un di lui parente, l’imprenditore Alessandro Zagaria è pur sempre un affiliato del clan di camorra, uno che cura gli interessi del suo omonimo: il mammasantissima che sta in galera. E così la procura lo ha indagato e messo in custodia cautelare perché, come scrivono i pm, «ha partecipato, nella consapevolezza della rilevanza causale del proprio apporto, ad una associazione di tipo mafioso denominata clan dei Casalesi, promossa e organizzata da Zagaria Michele».Ma qui sorge un secondo problema: anche se i magistrati riusciranno a dimostrare la colpevolezza di Alessandro Zagaria, tutt’altra cosa sarà riuscire a stabilire la responsabilità e la “consapevolezza” dell’ex segretario piddino.Alessandro Zagaria, infatti, fino a ieri era soltanto un normale imprenditore che si occupava di ristrutturazioni ed edilizia. Dunque il numero uno del Pd campano non aveva alcun motivo per evitare contatti con lui. E in effetti gli incontri che procura e giornali dipingono come oscuri e segreti, si sono svolti alla luce del sole. Per il “povero” Graziano, Alessandro Zagaria era uno stimato e incensurato professionista. Nient’altro. Perché mai avrebbe dovuto nacondere eventuali appuntamenti e telefonate?Eppure, secondo la gran parte dei giornali, la situazione è chiarissima e di tutt’altra natura: c’è un affiliato al clan (l’imprenditore Zagaria) e c’è il politico che intrallazza con lui (Stefano Graziano). E le intercettazioni stanno lì a dimostrare questa relazione criminale aggravata dalla mafiosità. E così l’incontro tra un imprenditore e un dirigente del Pd, diventa il famigerato “terzo livello”, l’associazione a delinquere tra il “colletto bianco” e il “politico corrotto”. E quando quello stesso imprenditore - che fino a ieri non aveva neanche l’ombra di un avviso di garanzia - dichiara al telefono di voler sostenere il candidato del Pd, quell’endorsement diventa la prova del patto crimnale tra i due.Insomma, la colpevolezza di Stefano Graziano è meno scontata di quanto i giornali vogliano far credere. Certo, la procura campana ha ancora qualche carta da giocare. I pm, infatti, hanno fatto capire di avere per le mani altre registrazioni di colloqui diretti tra i due. Chissà se da quelle intercettazioni il connubbio criminale risulterà un po’ più chiaro.