Gli uffici sono tutt’uno con il carcere, nel senso architettonico dell’espressione. Il Garante nazionale dei detenuti, organismo costituitosi da meno di due mesi, ha sede in un palazzetto addossato a Regina Coeli. «Qui c’era il commissario del piano carceri», spiega il presidente Mauro Palma, «ma i locali erano da risistemare: hanno provveduto direttamente alcuni detenuti di Rebibbia». Stile francescano, missione ai limiti dell’impossibile: cambiare la cultura della pena in Italia. Diversamente dall’Anac di Cantone, l’autorità nominata dal presidente della Repubblica su indicazione del Guardasigilli non è stata accolta da fanfare e fuochi d’artificio. Ieri ha incontrato per la prima volta la stampa, conta su una dotazione di personale di appena 9 unità (a pieno regime saranno 25). Eppure il Garante potrebbe avere un ruolo decisivo nella riforma del sistema penitenziario. Sarà preziosa, per il ministro Orlando, per sollecitare Renzi ad attuare le proposte degli Stati generali e destinare un po’ di risorse in più alle misure alternative. Come? «Il nostro lavoro si svolgerà su due piani paralleli», spiega Palma. «Da una parte il rapporto con le istituzioni: ogni anno presenteremo una relazione al Parlamento, potremo interagire con il Dap come con l’Interno, ad esempio per il rimpatrio degli immigrati irregolari. Opereremo con lo strumento della moral suasion». L’altro piano d’intervento è nell’opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica: «È un passaggio successivo ma altrettanto importante», spiega una delle due componenti che affiancano Palma, la penalista Emilia Rossi. «Intervenire sulla consapevolezza sociale del carcere è per noi un obiettivo prioritario», aggiunge il presidente. Le campagne e le denunce dell’organismo partiranno ovviamente dalle ispezioni e dalle verifiche sul rispetto dei diritti.Palma è una figura di primissimo piano, in Italia, dell’impegno per la modernizzazione del sistema penitenziario. Ha presieduto per un lustro il Comitato per la Prevenzione della tortura al Consiglio d’Europa, da ultimo è stato al vertice della commissione ministeriale sui problemi della detenzione. Un’autorità riconosciuta. Emilia Rossi è una penalista molto impegnata negli organismi di categoria, in particolare per la revisione delle asprezze normative più insopportabili, Daniela de Robert è caposervizio Esteri al Tg2 e ha dedicato molte energie al volontariato nelle carceri, oggetto di alcuni suoi libri. Avranno a disposizione un budget piccolo piccolo: 200mila euro, che dovranno bastare sia per i rimborsi che per organizzare le visite nei penitenziari (il personale è in distacco da altre amministrazioni, che continueranno a pagare gli stipendi). Se non altro, il decreto che istituisce l’organismo conferisce poteri almeno ispettivi di un certo rilievo: Palma, Rossi e de Robert potranno effettuare visite nelle carceri senza autorizzazione e, salvo eccezioni dovute a motivi di sicurezza, senza preavviso. Potranno avere colloqui riservati con qualsiasi recluso, anche con chi è al 41 bis. E proprio sul tema del carcere duro Palma promette massima vigilanza «affinché venga applicata la lettera della legge: impedire che il detenuto possa innescare la catena di comando malavitosa, punto. Vanno evitate ulteriori e inutili afflizioni». I tre componenti dell’organismo restano in carica 5 anni, non sono “rieleggibili” ma nemmeno revocabili. La mission rientra nella Convenzione Onu contro la tortura. E, come spiega Palma, ha una sostanza molto precisa: fare in modo che le norme non restino sulla carta. «Noi le chiamiamo stanze di pernottamento, in altri Paesi sono più brutalmente celle, ma spesso restano aperte molto più a lungo che da noi». L’auspicio, dice il Garante, è che tra cinque anni paradossi come questo siano superati.