L'aspettativa di vita, in Italia, è in calo. Di pochissimo ma è in calo. Ed è la prima volta che questo avviene. Dai tempi della guerra. L’aspettativa di vita, dal Medioevo in poi, è sempre in aumento nei paesi occidentali. In Italia è più che raddoppiata negli ultimi 150 anni. Costantemente, tranne brevi interruzioni per le carestie, o per le guerre o per avvenimenti eccezionali. Nel 1880 l’aspettativa di vita nel nostro paese era appena di 35 anni. A quarant’anni eri considerato anziano. Nel 1930 l’aspettativa era balzata a 54 anni. Poi ci fu una frenata per la guerra mondiale ma negli anni 50 tornò a salire rapidamente e nel 1960 era di oltre 65 anni.Poi ha continuato a crescere con costanza e nel 2014 era arrivata a 80 anni e 3 mesi per gli uomini e a 85 anni per le donne. La frenata, la prima in assoluto, è avvenuta nel 2015. Gli uomini hanno perduto due mesi le donne tre. Tradotto in cifre assolute questo dato diventa abbastanza impressionante: 54 mila morti in più rispetto all’anno precedente. 50 mila, per capirci, è il numero degli americani caduti in dieci anni di guerra del Vietnam. La devastante e tragica guerra del Vietnam.Il dato è stato fornito dall’Osservatorio nazionale sulla salute. E se lo scomponiamo è ancora più allarmante. Perché si sta allargando il divario tra le regioni più ricche e quelle più povere. In Sicilia e in Campania si vive mediamente quattro anni di meno rispetto al Trentino o alle Marche.La domanda è: cosa ha prodotto questo risultato? E poi: c’è il rischio che l’inversione di tendenza prosegua?L’analisi che si sviluppa per 150 pagine nella relazione dell’Osservatorio non lascia dubbi. I motivi della riduzione della vita stanno tutti nel funzionamento del welfare e delle abitudini sanitarie degli italiani. Meno servizi, meno assistenza, meno prevenzione, meno vaccini. Non ci sono altre ragioni. Tra l’altro la riduzione della speranza di vita si accompagna con una riduzione del fumo anche considerevole. Nel 2010 i fumatori erano il 23 per cento della popolazione sopra i 14 anni e nel 2015 erano il 19, 5 per cento. Vuol dire che in cifra assoluta il numero dei fumatori è sceso quasi di due milioni. E da solo questo dato avrebbe dovuto portare ad un aumento della durata della vita.Invece - dice il rapporto - la verità è che negli ultimi 15 anni l’Italia - che pure dispone di un ottimo sistema sanitario - ha perduto tutti i vantaggi che aveva accumulato nei 40 anni precedenti, che erano stati anni di grandi conquiste sociali. La spesa sanitaria si è decisamente ridotta e si è ridotta soprattutto al Sud. Oggi, in Italia, si spendono mediamente 1817 euro all’anno a testa per abitante. In Germania si spende il 68 per cento di più. In Canada addirittura il doppio. E questi 1817 euro non sono equamente divisi tra le varie regioni. In Sicilia e in Calabria siamo sotto i 1600 euro, mentre in alcune regioni del centro e del Nord si superano i 2000. Questa disuguaglianza nella spesa non ha nulla di logico, perché dal momento che la sanità al Sud è peggiore di quella del Nord, sarebbe logico che si investisse di più e non di meno nel Mezzogiorno.Certo, è giusto ragionare sul cattivo governo della sanità, sugli sprechi e tutto il resto. Però resta il dato della riduzione della spesa. E la riduzione della spesa comporta la riduzione delle campagne di informazione e soprattutto degli investimenti in prevenzione. In Italia, di tutta la spesa sanitaria solo il 4 per cento va a finire in prevenzione. E’ la percentuale più bassa dell’intera Europa.E così succede che sono in aumento gli esiti mortali di tumori “prevedibili”, come quelli al seno per le donne e quelli al colon per gli uomini; e si riduce clamorosamente la quantità dei vaccini. Il vaccino influenzale, per esempio. L’organizzazione mondiale della sanità ritiene che fra gli over 65 si dovrebbe cercare di vaccinare il 95 per cento della popolazione. E invece qui da noi negli ultimi anni il numero degli anziani che si vaccina è sceso del 23 per cento: gli anziani vaccinati, nel 2015, sono appena uno su due. E’ una delle cause principali dell’aumento delle morti. Tra quei 54 mila morti in più, la maggioranza sono le persone anziane decedute per complicazioni dell’influenza.Naturalmente alla maggioranza degli economisti di questo dato frega niente. Gli economisti, e i giornali, e i governi, e gli esperti, valutano il Pil. Una minuscola variazione del Pil può avere conseguenze enormi sulla politica. Salvare un governo, far cadere un governo. E una variazione del Pil guadagna grandi titoli sui giornali. 54 mila morti in più invece non contano. Quello che conta è che si è riusciti a ridurre la spesa sanitaria e questo ha fatto bene all’economia. I diritti essenziali, come il diritto alla salute, e quindi alla vita, sono variabili dipendenti della spending review.