Pavia, 9 giugno 2008. Sono le sei del mattino quando nella casa di Pierpaolo Brega-Massone suona il citofono. La signora Barbara, sua moglie, si alza allarmata. Un minuto dopo è invasa da poliziotti che leggono “assurdi e terribili” capi di accusa contro suo marito. «Non riuscivo a capire, ero frastornata. Ho preparato il caffè per tutti e ho portato dai nonni, che vivono al piano di sopra, la bambina che allora aveva cinque anni». Dalle labbra dei poliziotti che leggono l’ordinanza emergono parole terribili: omicidio, truffa, raggiro. «Solo dopo qualche minuto capii che mio marito era accusato di aver provocato la morte di alcuni pazienti per trarne vantaggio economico». E così, il giorno dopo, sui giornali di mezza Italia, lui diverrà “il dottor morte” e la Santa Rita, la “clinica degli orrori”.Sono giorni particolari, quelli, in Italia. Giorni in cui il parlamento discute della legge sulle intercettazioni: «Vogliono mettere il bavaglio alla stampa», urlano in piazza tardo-girotondini e grillini in erba. «Le intercettazioni su mio marito vennero sventolare in pazza e in televisione come caso di “scuola”: “senza intercettazioni non avremmo mai scoperto un criminale come Brega-Massone”, ripetevano». E anche il pm, la dottoressa Siciliano, ripetè più volte in Aula e sui giornali che senza le intercettazioni il caso Santa Rita non sarebbe mai emerso.Ed è in quel clima che inizia il processo a carico di Brega Massone. L’accusa è chiara: “il dottor morte”, avrebbe operato decine di persone solo per gonfiare i rimborsi sanitari destinati alla Santa Rita di Milano, la famigerata “Clinica degli orrori”. E per giustificare la volontarietà degli omicidi, i pm hanno scomodato il “dolo eventuale”. Secondo l’accusa, infatti, Brega Massone non poteva non sapere che la sua condotta avrebbe procurato un grave rischio per l’incolumità dei pazienti. Risultato: ergastolo e tre anni di isolamento diurno. Una condanna che rappresenta un caso unico. Mai prima di quella sentenza un medico era stato accusato di omicidio volontario nell’esercizio delle proprie funzioni.Ma sul giudizio gravano ancora troppe ombre. Quattro su tutte: perché Brega Massone avrebbe dovuto rischiare tanto sapendo che i soldi dei rimborsi gonfiati sarebbero finiti nelle tasche del padrone della clinica? Secondo: perché sono state accettate a occhi chiusi le perizie dell’accusa e scartate quelle super partes? Terzo: come mai in sede civile Brega ha vinto tutte le cause vedendo riconosciuta la propria correttezza? E infine: quanto ha pesato la terribile campagna stampa di quei giorni?«Credo che la stampa abbia avuto un peso decisivo. Mio marito è stato processato e condannato sui giornali prima ancora che in un’aula di tribunale», ripete la signora Barbara.Signora, che ricorda di quei giorni?Tutto, ogni istante. E’ una visione onirica, ovattata ma chiarissima. Ricordo lo smarrimento, l’incredulità. Come potrei dimenticare… Ho capito quello che stava realmente accadendo solo quando mi hanno chiesto di preparare la borsa di mio marito. Lì ho realizzato che lo avrebbero portato via. Una volta preparata, mio marito ha salutato la bimba dicendole che sarebbe dovuto partire con quei signori per andare a un congresso…Non lo ha più visto in casa per anni.Quando ha spiegato alla bimba cosa era accaduto?Dopo molti mesi. Le accuse contro mio marito erano così assurde che pensavo che tutto si sarebbe risolto in breve tempo.I giornali erano invasi da intercettazioni, da ritratti che dipingevano suo marito come un mostro...I primi giorni li ho passati chiusa in casa e mi rifiutavo di leggere i giornali e vedere i telegiornali. A dire il vero ancora oggi non riesco a guardare la Tv per paura di incappare in qualcosa che riguarda mio marito. In ogni caso il primo periodo vivevo blindata e in quelle poche uscite venivo sempre accompagnata anche perché non ero in grado di connettere. L’unica cosa che avevo in mente era mia figlia. Volevo proteggere lei e mia suocera dai giornalisti. Ricordo che qualcuno mi chiamò per dirmi che c’era l’allora governatore Formigoni a Matrix che parlava di mio marito. Era lì che leggeva il capo d’accusa e il suo unico scopo era quello di creare un capro espiatorio a cui addebitare tutte le malefatte della sanità lombarda. Così spensi il televisore.Quanto ha inciso nel giudizio questa campagna stampa contro suo marito?E’ stata decisiva. La procura, inoltre, ha attribuito a mio marito frasi che erano state intercettate ad altre persone. Una cosa così non l’ho mai vista. La famosa intercettazione sul chiodo non sterilizzato e reimpiantato a un paziente, per esempio, era stata detta da un altro medico.Ha dubitato di suo marito?No, mai. So chi è. Lo conosco da quando abbiamo vent’anni. Studiavamo insieme. Lui medicina io biologia. Non c’entra nulla con la persona che hanno descritto in Aula e sui giornali. Certo, può aver sbagliato come tutti quelli che lavorano, ma non è un assassino, ne sono certa. E poi perché mai avrebbe dovuto fare quello di cui è accusato. Mio marito viene da una famiglia molto ricca, non aveva alcun bisogno di “arrotondare” in quel modo. Anzi, a dire il vero avrebbe potuto anche non lavorare. Era così disinteressato ai soldi che venne a sapere del valore delle azioni dell’azienda di sua madre dai giornali.Che azienda era?Quella che ha inventato e ha prodotto la coccoina.E’ vero che in sede civile suo marito ha vinto?Certo, tre pazienti si sono costituiti in sede civile dove la perizia super partes è obbligatoria. E in quel caso ha vinto: la perizia ha dimostrato che non ha mai agito in modo scorretto. Mi chiedo come mai i giudici del penale non abbiano voluto questa benedetta perizia.Che idea s’è fatta? Come mai non l’hanno voluta?Non lo so. I giudici hanno preso in considerazione solo la perizia dell’accusa, hanno ignorato la nostra e non hanno mai voluto quella super partes. Il giudice d’appello aveva promesso che l’avrebbe chiesta e invece alla fine non l’ha concessa. Sono andato a trovarlo, gli ho chiesto il motivo di quella scelta. Mi ha detto solo: «Signora, mi rendo conto che sta vivendo una tragedia…». Ma c’è qualcosa che non mi torna. Sono convinta che il caso di mio marito è servito a coprire altre cose. A gettare fumo negli occhi. In quei giorni era finito nei guai anche un medico del San Raffaele. Ma il San Raffaele, allora, era intoccabile. E così hanno creato il caso di mio marito, il capro espiatorio che doveva pagare per tutti.Ma c’era anche chi vi difendeva.C’erano decine di colleghi, di amici e di pazienti che avrebbero voluto difendere mio marito, ma nessun giornale né tv li voleva ascoltare. Una paziente è addirittura arrivata al caso limite di comprare una pagina di giornale per difenderlo. Il fatto è che molti editori hanno una mano nella sanità...E' vero che avete speso tutto il patrimonio?Certo. Io e mia figlia viviamo solo col mio stipendio. Grazie a Dio l’avvocato Titta Madia ci sta difendendo gratis, altrimenti non saprei come fare. Ma non sono i soldi il problema. Mio marito vive sepolto vivo, questo è il problema.Quante volte lo incontra?Due volte la settimana per un’ora. Adesso ha anche un lavoretto: introduce dati al computer. Non sarà gratificante e ha ancora molti momenti di disperazione, ma almeno si distrae per qualche ora. Ha anche molta dignità, forse anche troppa. Questo suo modo di fare lo ha penalizzato: non ha mai pianto in aula né di fronte ai giornalisti. E tutto questo ha contribuito a creare un’immagine di uomo freddo, spietato. Ma non è così, è solo grande senso di dignità. Però ha momenti di rabbia, e non si capacita del silenzio dei medici. I suoi colleghi non capiscono la gravità della condanna, né il fatto che se è capitato a lui può capitare ad altri.C’è stata anche un fiction su suo marito...Non l’ho vista, non ce l’ho fatta. So che lo hanno disegnato freddo e antipatico Ma lui non è così.E la bambina?I giorni successivi l’arresto ho pensato di non mandarla a scuola, di farle perdere una anno. Ero terrorizzata dal fatto che i compagni di scuola, magari anche senza cattiveria, avrebbero potuto farla soffrire parlando del papà in un determinato modo. Alla fine ho deciso di iscriverla dalla suore. Lì vive in un ambiente protetto. Sono tutti molto attenti ai commenti dei bimbi e dei genitori. Solo una volta un bambino le ha detto che so papà era in galera. Una cosa che l’ha molto turbata ma poi è finita lì.Dopo due condanne in primo e secondo grado, è rimasta la Cassazione. Ha speranza?Non posso non averne, altrimenti si muore..