Ci sono tutti gli elementi per rimestare nel torbido. Il killer del passato, simbolo del'edonismo amorale della provincia italiana degli anni 80-90 e l'assassino di oggi, erede metropolitano di quella dissoluzione di valori; poi c'è una lettera di solidarietà in cui emerge "l'assenza di comprensione" per le vittime e la "freddezza" del suo autore. Un po' di psichiatria da autobus e l'indefessa vocazione per le gogne mediatiche. Il meme è  di grande semplicità, "il mostro che scrive all'altro mostro", mostri che si comprendono e giustificano, che condividono corrispondenze di odiosi sensi anche attraverso le generazioni, solidali in nome della loro cattiveria, che si specchiano nella loro assenza di empatia. Tutto il contrario della brava gente, magari la stessa che in queste ore grida forte la sua indignazione invoca punizioni esemplari, persino la morte e la tortura dei due super cattivi, dei due mostri.Non vale la pena sofferrmarsi sui commenti che ammorbano la rete tra siti, forum e social network, sugli inviti a "rinchiuderli nella stessa cella" e a farli fuori, chi con un colpo alla testa, chi con metodi ancora più spicci. Ma cosa c'è di così terribile e immorale nella lettera che il 45enne Pietro Maso ha scritto al 29 Manuel Foffo? Nulla, non c'è nulla. "Caro Manuel credo di essere tra i pochi a comprendere i terribili momenti che stai vivendo, non ti giudico per quello che hai fatto io sono molto peggiore di te". No, Pietro Maso non giudica Manuel Varani, e forse scrive queste parole proprio perché è cosciente del suo passato, perché il peso della colpa non lo autorizza a travestirsi da moralista, da inquisitore, ruoli che in genere sono ricoperti da chi si sente senza macchia e senza peccato. Dagli "onesti". Però Maso sa come i mostri vivono in prigione, conosce lo statuto speciale riservato ai protagonisti dei grandi processi mediatici, reietti tra i reietti, considerati diversi dai propri compagni di cella e vessati dai secondini e per questo prova solidarietà per il giovane Foffo. "So cosa ti aspetta per molti anni ancora. L’isolamento, la disperazione, gli sputi in faccia degli altri detenuti e la durezza delle guardie, gli psichiatri saccenti. La voglia di suicidarti e l’illusione di svegliarti da un brutto sogno e tornare alla vita di sempre".